Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Il Regolamento europeo n. 912/2014 e la ripartizione della responsabilità tra Unione Europea e Stati membri nel caso di violazione di accordi internazionali di investimento (di Benedetta Cappiello, Assegnista di ricerca in Diritto dell’Unione europea, Università Statale di Milano.)


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The European Union exclusive competence on foreign direct investments should imply the inclusion of the arbitration clause in agreements that the EU will sign with third parties, alone or with Member States. Given that the EU has accepted investor-State arbitration as a mechanism to solve disputes, it has to provide for a regime of responsibility, applicable in case of disputes concerning mixed agreements. Accordingly, the EU has recently enacted the Regulation no. 912/2014, which defines the criteria for the allocation of responsibility and the identification of the respondent party. This paper aims to scrutinize the Regulation in order to understand the regime of responsibility adopted, through the lens of international provisions and with regard to the most recent European practice in the field. The conclusion is that the regime adopted does not represent the best choice for managing arbitral disputes involving mixed agreements.

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SOMMARIO:

I. Introduzione. - II. L’imputazione diretta e indiretta della responsabilità finanziaria tra Unione Europea e Stati membri. - III. Il regime di responsabilità indiretta e speciale codificato nel Regolamento. - IV. La legittimazione a stare in giudizio e il rapporto tra Unione Europea e Stati membri nei procedimenti arbitrali e transattivi. - V. L’esclusione della partecipazione processuale congiunta: ragioni e criticità. - VI. I diversi regimi di responsabilità adottati dall’Unione Europea per la violazione di accordi internazionali stipulati in forma mista: i casi della Conferenza del¬l’Aja di diritto internazionale privato e del Progetto di adesione alla Convenzione Europea dei di¬ritti dell’uomo. - VII. Conclusioni. - NOTE


I. Introduzione.

Il Trattato di Lisbona ha incluso gli investimenti esteri diretti (“IED”) tra le materie della politica commerciale comune europea (art. 207 TFUE) [1]. Conformemente all’art. 3, par. 1, lett. e) TFUE l’Unione esercita una competenza esclusiva nel settore della politica commerciale comune; pertanto, essa potrà stipulare accordi internazionali che abbiano ad oggetto anche, o solo, gli IED. Tali accordi saranno stipulati in forma mista (Unione-Stati membri) se disciplineranno anche materie di competenza concorrente; viceversa, quelli che avranno ad oggetto solo lo scambio di investimenti esteri diretti saranno stipulati dalla sola Unione. Per entrambi i casi, l’Unione si è posta il problema di definire «un quadro per la gestione della responsabilità finanziaria connessa ai tribunali per la risoluzione delle controversie investitore-Stato istituiti da accordi internazionali di cui l’Unione è parte» [2]. Il 23 luglio 2014 è stato quindi adottato il regolamento europeo n. 912/2014 (“Regolamento”) che ha come ambito di applicazione ratione materiae le controversie investitore-Stato o i procedimenti transattivi derivanti da «un accordo di cui l’Unione è parte, o di cui l’Unione e i suoi Stati membri sono parti e promossi da un ricorrente di un Paese terzo (art. 1)» e si compone di due parti che hanno ad oggetto tematiche che sono tra loro complementari: la legittimazione a stare in giudizio e l’allocazione della responsabilità finanziaria [3]. Il Regolamento si fonda, principalmente, sul consenso delle istituzioni europee ad attribuire ai tribunali arbitrali la giurisdizione in caso di controversie investitore-Stato di cui l’Unione può essere parte [4]. La disciplina contenuta nel Regolamento va inquadrata nella più generale tendenza dell’Unione a riconoscere la giurisdizione di fori internazionali come previsto, ad esempio, nel sistema dell’Organizzazione mondiale del commercio (“OMC”) [5] e della Carta dell’energia [6], o in alcuni accordi commerciali sottoscritti in forma mista tra Unione e Paesi terzi sia prima [7] che dopo [8]l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. L’esigenza di affidarsi ad un tribunale arbitrale per il controllo dell’effettiva implementazione [continua ..]


II. L’imputazione diretta e indiretta della responsabilità finanziaria tra Unione Europea e Stati membri.

La suddivisione della responsabilità finanziaria attiene al profilo dei rapporti interni tra Unione e Stati membri e si configura come aspetto complementare della legittimazione a stare in giudizio che, come vedremo, attiene ai rapporti esterni. Il capo II del Regolamento detta i criteri per l’allocazione della responsabilità finanziaria tra l’Unione e lo Stato membro coinvolto; gli articoli dedicati a questo profilo sono pochi ma di rilievo per le conseguenze giuridiche in materia di responsabilità internazionale che da essi discendono. In generale, questi criteri ruotano intorno al principio espresso all’art. 1 a norma del quale «l’applicazione del Regolamento lascia impregiudicata la delimitazione delle competenze stabilita dai Trattati, anche in relazione al trattamento messo in atto dagli SM o dall’Unione e contestato da un ricorrente in un procedimento di risoluzione delle controversie investitore-Stato condotto in forza di un accordo» [13]. Di conseguenza, l’art. 3 prescrive che la responsabilità segue la competenza, cosicché l’onere finanziario ricade sulla parte che, per il diritto europeo, ha competenza sulla materia oggetto dell’inadempimento [14]. In proposito occorre però precisare che non è sempre agevole individuare il soggetto competente in una materia sulla base dei parametri europei [15], poiché l’esatta suddivisione interna, tra Unione e Stati membri, non è immediata, particolarmente quando si tratti di distinguere tra materie di competenza esclusiva ovvero concorrente [16]. Per quel che qui rileva, tale incertezza può comportare delicati problemi nelle ipotesi in cui l’individuazione del soggetto competente rappresenta il presupposto per l’allocazione della responsabilità finanziaria e il conseguente obbligo di risarcimento in caso di condanna (spesso di valore piuttosto elevato). Il Regolamento introduce poi un regime di responsabilità “alternativo” a quello sopra descritto, che sorge quando lo Stato membro ha posto «in essere un trattamento prescritto dall’Unione» (artt. 3.1 lett. c). In questi casi trova applicazione un regime di “responsabilità indiretta” per il quale l’Unione è ritenuta responsabile, in via esclusiva, per l’azione all’origine della violazione [continua ..]


III. Il regime di responsabilità indiretta e speciale codificato nel Regolamento.

ome anticipato in conclusione del paragrafo precedente, il Regolamento affianca al regime di responsabilità diretta uno di responsabilità indiretta. Segnatamente, gli artt. 3.1 lett. c) e 9.2 introducono un’ipotesi di responsabilità indiretta e speciale, per la quale l’Unione risponde in giudizio e si assume la responsabilità finanziaria per le condotte poste in essere dallo Stato membro in ottemperanza ad un obbligo derivante dal diritto europeo. In proposito, pare lecito interrogarsi sulla compatibilità del regime di responsabilità indiretta e speciale con le norme internazionali di riferimento [18]. In argomento, vengono in considerazione le già menzionate norme di diritto internazionale, codificate nel Progetto di articoli sulla responsabilità delle Organizzazioni Internazionali (“Progetto”), approvato in seconda lettura dalla Commissione di Diritto Internazionale (“CDI”) nel 2011 [19]. Il Progetto ha predisposto un regime di responsabilità generale in base al quale sullo Stato membro di un’Organizzazione Internazionale (“O.I.”), autore dell’inadem­pi­mento, ricade la responsabilità principale rimanendo, invece, in capo a quest’ultima una responsabilità di carattere sussidiario. Nel caso dell’Unione, lo Stato membro dovrebbe quindi rispondere in via principale per la violazione di un accordo stipulato in forma mista, indipendentemente dal fatto che esso abbia agito, o meno, nel rispetto di un obbligo imposto dal diritto europeo. Sull’Unione dovrebbe invece ricadere una responsabilità di carattere sussidiario. Tuttavia, all’art. 17 il Progetto specifica che, quando lo Stato agisce nel rispetto di un obbligo imposto dall’O.I. di appartenenza, sussiste co-respon­sabi­lità di quest’ultima se non si ravvisa un margine di manovra [20] – rectius discrezionalità – in capo allo Stato coinvolto [21]. Pertanto, applicando la regola dell’art. 17 ai rapporti Unione-Stato membro, quest’ultimo dovrebbe rispondere individualmente solo qualora abbia ottemperato all’obbligo che discende dal diritto europeo senza discostarsene, pur avendone la possibilità [22]. Con riferimento ai rapporti interni dell’Unione, si renderebbe necessario operare una distinzione in ragione della [continua ..]


IV. La legittimazione a stare in giudizio e il rapporto tra Unione Europea e Stati membri nei procedimenti arbitrali e transattivi.

Definite le questioni relative all’allocazione della responsabilità, il Regolamento introduce al capo III i criteri per individuare il soggetto, Unione Europea o Stato membro, legittimato a rispondere in giudizio o a procedere alla transazione. Si tratta, in altre parole, del problema della rappresentanza e­sterna dell’Unione: nelle ipotesi in cui la Commissione risponde in giudizio, o transige una controversia, occorre, infatti, rinvenire l’esistenza dei presupposti che la legittimino ad agire in rappresentanza dell’Unione. In generale, nell’ipotesi di violazione di un accordo internazionale misto contenente una clausola compromissoria, tutte le parti (quindi sia l’Unione sia lo Stato membro coinvolto) sono astrattamente legittimate a stare in giudizio [41] posto che, sottoscrivendo l’accordo, ciascuna ha prestato il proprio consenso a sottoporre allo scrutinio di una corte arbitrale le controversie che derivino dalla violazione dell’accordo medesimo [42]. Nello specifico, il Regolamento definisce agli artt. 4 et 5 i parametri attraverso i quali individuare il soggetto legittimato a stare in giudizio. Segnatamente, se l’inadempimento dell’accordo verte su una materia di competenza esclusiva dell’Unione (come oggi sono gli investimenti esteri diretti), solo quest’ultima è legittimata a stare in giudizio, assumendosi anche la responsabilità finanziaria. Gli Stati membri, per parte loro, sono invece legittimati a rispondere, e sono finanziariamente responsabili o per le proprie azioni, o qualora l’Unione abbia fatto ricorso all’art. 2, par. 1 TFUE ri-delegando in capo ad essi materie di propria competenza esclusiva [43]. L’art. 9, come anticipato, individua le circostanze in presenza delle quali si assiste ad un’inversione dei ruoli [44], per effetto della quale l’Unione è legittimata a rispondere in giudizio, pur non essendo ad essa imputabile la condotta all’origine dell’inadempimento [45]. Ciò può accadere: per decisione della Com­missione o dello Stato membro coinvolto (art. 9.1 lett. a) et b), nelle ipotesi di responsabilità indiretta – le uniche che fanno peraltro sorgere anche la responsabilità finanziaria dell’Unione (art. 9.2) – ovvero qualora una condotta, analoga a quella oggetto dell’instaurando procedimento [continua ..]


V. L’esclusione della partecipazione processuale congiunta: ragioni e criticità.

Dall’analisi appena svolta sui criteri di legittimazione a stare in giudizio, emerge l’esclusione in tale ambito della partecipazione processuale congiunta, in qualità di convenuti, dell’Unione e dello Stato membro coinvolto: soluzione, questa, certo non preclusa dalle regole di procedura arbitrali né tantomeno dal diritto internazionale pubblico [50], ma suscettibile di creare difficoltà (sul piano dei rapporti interni Unione-Stati membri) nella gestione del procedimento, in particolare quando sia dubbia la suddivisione di competenze tra Unione e Stati membri [51]. Invero, posto che di regola la responsabilità finanziaria segue la competenza, ove fossero convenute congiuntamente l’Unione e lo Stato membro, l’arbitro dovrebbe pronunciarsi su una materia (quella della suddivisione interna delle competenze) che è di prerogativa esclusiva dell’U­nione e della Corte di giustizia [52]. Peraltro, le previsioni sulla suddivisione della competenza interna, da un lato, non sono opponibili ai terzi e, dall’altro, non possono essere fatte valere in giudizio né dall’Unione o dallo Stato membro per escludere la propria responsabilità; né esse possono essere oggetto dello scrutinio dell’ar­bitro (al pari di qualunque giudice diverso dalla Corte di giustizia) [53]. Escludendo l’ipotesi di legittimazione processuale congiunta, il legislatore europeo ha preferito dunque precludere al collegio arbitrale qualsiasi indagine, relativa alla suddivisione di competenze (e pertanto anche a quella di responsabilità) tra l’Unione e lo Stato membro coinvolto. Ciò, anche a costo di determinare uno “scollamento” tra i ruoli, nel senso che non vi è sempre coincidenza tra il soggetto inadempiente e quello legittimato a rispondere in giudizio. Da tale “scollamento” potrebbero, peraltro, sorgere problemi in sede di pagamento del risarcimento riconosciuto dal lodo definitivo ovvero dall’accordo transattivo: il soggetto responsabile, ma non legittimato a rispondere in giudizio, potrebbe, invero, rifiutare di pagare, o di concorrere al pagamento, se ritenesse di non esservi tenuto (per qualsiasi motivo). In questa ipotesi, il soggetto che ha partecipato al giudizio (o alla transazione) avrebbe due possibilità: o corrisponde l’importo addebitatogli (spesso non di modesta [continua ..]


VI. I diversi regimi di responsabilità adottati dall’Unione Europea per la violazione di accordi internazionali stipulati in forma mista: i casi della Conferenza del¬l’Aja di diritto internazionale privato e del Progetto di adesione alla Convenzione Europea dei di¬ritti dell’uomo.

Concluso l’esame del Regolamento n. 912/2014, pare ora interessante confrontare le soluzioni adottate nel medesimo, con la prassi sino ad ora seguita dall’Unione nella suddivisione della responsabilità tra la stessa e gli Sati membri in relazione ad accordi internazionali stipulati in forma mista. Al riguardo, non sembra esistere una “regola” europea in materia: la stessa prassi evidenzia, infatti, come l’Unione abbia elaborato regimi di suddivisione della responsabilità sulla base di criteri tra loro molto differenti. In alcuni casi, si è scelto di identificare il soggetto competente tramite una dichiarazione allegata allo stipulando accordo; in altri casi non si è specificato nulla, lasciando al­l’U­nione il compito di individuare, di volta in volta, il soggetto responsabile; in altri casi ancora, è stata inserita una clausola interpretativa che precisa che le parti dell’accordo sono, individualmente, tanto l’Unione che gli Stati membri. La prima soluzione [56] fa sorgere la responsabilità individuale in capo al soggetto indicato nell’allegato come competente sulla materia oggetto dell’i­nadempimento (l’elenco viene modificato ogni volta che una materia passi dalla competenza europea a quella degli Stati membri o viceversa) [57]. Nell’ipotesi di accordi misti in cui nulla è specificato, invece, la responsabilità è ripartita in modo “solidale” tra le parti: l’Unione è ritenuta responsabile alla luce della teoria del controllo [58], lo Stato membro, invece, per effetto della teoria della complicità, a norma della quale esso risponde per il fatto che ogni fonte europea è, in ultima istanza, espressione del voto di ciascuno Stato membro [59]. In tali circostanze, la responsabilità da solidale può diventare individuale se l’Unione comunica alla controparte il soggetto responsabile, competente nella materia oggetto dell’inadempimento. La predisposizione di una clausola interpretativa fa invece sorgere una responsabilità congiunta ma non solidale: il Paese terzo, sottoscrivendo l’accor­do contenente la clausola in esame, riconosce, infatti, che le materie oggetto del medesimo possano essere di competenza tanto dell’Unione che dello Stato membro [60]. Pertanto, nel caso di controversie, il Paese [continua ..]


VII. Conclusioni.

Il Regolamento è uno dei più importanti risultati raggiunti dall’Unione nell’ambito della politica europea in materia di investimenti. Tra i suoi meriti vi è quello di aver attribuito il potere giurisdizionale a corti arbitrali, anche in relazione a procedimenti investitore-Stato in cui l’Unione è parte convenuta. Esso presenta tuttavia anche dei limiti, soprattutto riguardo alle ipotesi di inversione dei ruoli, Unione-Stato membro, e, tra esse, al caso di responsabilità indiretta e speciale. Il problema concerne non tanto, e non solo, il fatto che, per effetto dell’inversione, lo Stato autore della condotta è sostanzialmente privato del proprio diritto di difesa, quanto la conseguenza che deriva da tale inversione dei ruoli, ossia lo “scollamento” tra il soggetto autore del presunto inadempimento e quello che starà in giudizio assumendosi, in tutto o in parte, la responsabilità di fronte al terzo. Tuttavia, ci pare che i dubbi circa la legittimità di far agire l’Unione in giudizio (ritenendola in alcuni casi anche responsabile) nelle ipotesi in cui la stessa non abbia agito possano essere risolti tanto sul piano esterno che su quello interno. Quanto al primo, l’Unione, sottoscrivendo l’accordo internazionale risulta vincolata a tutte le previsioni nel medesimo contenute e può dunque assumersi in astratto la responsabilità per la loro violazione e così essere citata in giudizio. Sul piano interno, invece, le ipotesi di responsabilità indiretta e speciale potrebbero giustificarsi sulla base della teoria del controllo: l’Unione sarebbe quindi responsabile poiché, imponendo allo Stato un obbligo il cui adempimento porta alla violazione dell’accordo internazionale, avrebbe mancato di vigilare (come viceversa dovrebbe) sul comportamento di quest’ultimo. In definitiva, l’analisi condotta rileva come i pur diversi regimi adottati dal­l’Unione in tema di ripartizione della responsabilità tra essa e gli Stati membri siano tutti accomunati dal medesimo fine: preservare dallo scrutinio di organi giurisdizionali non-europei la suddivisione interna di competenze tra Unione e Stati membri. La soluzione introdotta dal regolamento n. 912/2014 realizza questo fine prevedendo l’inserimento nei futuri accordi di investimento sottoscritti in forma mista di una clausola a norma [continua ..]


NOTE