Nella sentenza Gascogne il Tribunale riconosce la responsabilità dell’Unione europea dovuta all’eccessiva durata di un procedimento dinanzi al medesimo Tribunale e abbandona il rimedio compensatorio accolto nella precedente giurisprudenza in tema di délai raisonnable.
Il presente scritto vuole analizzare le problematiche relative all’applicazione degli artt. 268 e 340 TFUE in caso di responsabilità dell’Unione ascrivibile alla sua attività giudiziaria. In particolare, esso intende riflettere sui possibili rimedi, sia sostanziali che strutturali, necessari al fine di garantire un’applicazione effettiva di questo strumento giurisdizionale offerto dal Trattato.
In Gascogne the General Court recognizes the non-contractual liability of European Union due to the excessive length of a procedure of the same General Court and overcomes the compensatory remedy stated in its previous case-law on délai raisonnable.
The comment analyses the issues connected with the application of artt. 268 and 340 TFEU in case of EU judge responsibility, in particular it reflects on the possible substantive and structural remedies necessary to render effective this jurisdictional tool.
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I. Introduzione. - II. La violazione della durata ragionevole da parte del giudice dell’Unione europea: i precedenti. - III. Il fatto. - IV. La responsabilità extracontrattuale dell’Unione co¬me unico rimedio all’eccessiva durata dei procedimenti. - V. (Segue): problemi risolti e questioni aperte alla luce della sentenza Gascogne. - VI. La riforma del Tribunale come soluzione “strutturale” per assicurare la ragionevole durata del processo. - VII. Considerazioni conclusive. - NOTE
Con la sentenza in commento [1], per la prima volta, è stata ammessa la responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea per fatto del giudice di questa, in particolare, a causa dell’eccessiva durata di un procedimento dinanzi al Tribunale [2]. Elemento indubbiamente peculiare è che, nella fattispecie, è stato lo stesso Tribunale – seppure in diversa composizione – a riconoscere tale responsabilità e quindi, in un certo senso, ad “autocondannarsi” al fine di tutelare il diritto fondamentale alla ragionevole durata dei processi, che oggi trova puntuale riferimento nell’art. 47 della Carta di Nizza (CDF). Se il rispetto di un délai raisonnable costituisce un diritto oramai riconosciuto nell’ordinamento dell’Unione [3], certamente qualche approfondimento merita il tema della responsabilità risarcitoria che ne consegue allorché è la stessa Corte di giustizia dell’Unione (intesa quale istituzione complessiva) a violare tale diritto. People who live in glass houses shouldn’t throw stones, commentava qualcuno a proposito della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di responsabilità risarcitoria degli Stati membri [4]. Considerando che la responsabilità dell’Unione è stata sì riconosciuta, ma a fronte di un ammontare esiguo dell’indennizzo, è lecito interrogarsi se la sentenza sia un tentativo di cambiare rotta e fare sul serio.
Con la sentenza in rassegna il Tribunale ha sancito il definitivo abbandono del rimedio compensativo inaugurato dalla sentenza Baustahlgewebe (c.d. BstG) nei casi di violazione della ragionevole durata dei giudizi imputabile all’Unione [5]. In quella pronuncia la Corte di giustizia aveva ridotto l’importo dell’ammenda stabilita dal Tribunale, al fine di compensare la ricorrente di un equo risarcimento per l’eccessiva durata del procedimento amministrativo e giudiziario che aveva condotto alla sentenza di condanna. In particolare, valutata l’irragionevolezza [6] della durata alla luce delle peculiari circostanze del caso – ovvero la rilevanza della lite per l’interessato, la complessità della causa e le condotte sia del ricorrente che delle Autorità competenti – la Corte era giunta a ritenere fondato il motivo di annullamento (parziale) dell’ammenda «per ragioni di economia processuale e al fine di garantire un rimedio immediato ed effettivo a tale vizio procedurale» [7]. La soluzione scelta dalla Corte in quella occasione ha sollevato non pochi dubbi, anticipati peraltro dall’Avvocato generale Léger che nelle conclusioni sul medesimo caso aveva contestato l’eventuale applicazione del rimedio compensativo [8]. Le conclusioni consideravano un’anomalia l’eventuale potere della Corte di influire direttamente su una sanzione volta a ripristinare uno squilibrio concorrenziale sulla base di un motivo di diritto. Infatti, pur costituendo un motivo di diritto valutabile in quanto tale dalla Corte – oggi in virtù dell’art. 263 TFUE –, la violazione del termine ragionevole non incideva sulla logica punitiva e di riequilibrio propria delle ammende antitrust, che si basavano su elementi di fatto che avrebbero richiesto uno specifico e nuovo esame da parte del Tribunale. Secondo l’Avvocato generale, cioè, l’azione di annullamento non costituiva «uno strumento idoneo a garantire l’efficacia del “termine ragionevole”», individuando nell’azione di responsabilità dell’Unione (allora Comunità europea) «il mezzo atto ad evitare che tale principio della convenzione rimanga lettera morta allorché invocato nei confronti di un procedimento dinanzi al Tribunale» [9]. A questo proposito, pare [continua ..]
La controversia in esame trae origine da un ricorso proposto dalle società Gascogne e Gascogne Sack Deutschland ex artt. 268 e 340 TFUE, al fine di condannare l’Unione europea al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’eccessiva durata del procedimento che ha portato il Tribunale a decidere le cause T-72/06 e T-79/06 [26]. Invero, con la sentenza del 26 novembre 2013, la stessa Corte di giustizia aveva già accertato il ritardo in questione, suggerendo alle parti di proporre un’autonoma azione risarcitoria, non potendo essere la medesima Corte a decidere sull’eventuale ristoro, ma spettando ciò al Tribunale, seppure in composizione diversa da quella con cui erano state decise le cause oggetto della violazione [27]. Il nuovo giudizio svoltosi dinanzi alla Terza sezione del Tribunale (in composizione allargata) è stato quindi avviato dalle ricorrenti contro la Corte di giustizia dell’Unione, quale istituzione generale comprendente anche il Tribunale. Sul punto, in via preliminare, la Corte con atto separato aveva peraltro sollevato un’eccezione di irricevibilità dell’azione, sostenendo che fosse la Commissione il soggetto da convenire correttamente in giudizio, ma l’eccezione è stata poi respinta dal Tribunale con ordinanza del 2 febbraio 2015 [28]. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale si pronuncia dunque nel merito, confermando l’esistenza di una violazione dell’art. 47 della Carta dei diritti fond. – già accertata dalla Corte di giustizia nella sentenza del 26 novembre 2013 – e il conseguente obbligo risarcitorio a carico della parte convenuta, ma monetizzando i danni in misura notevolmente ridotta rispetto a quanto domandato dalle ricorrenti. Quest’ultime avevano infatti richiesto un importo che complessivamente ammontava a circa 4 milioni di euro [29], e che il Tribunale ha, invece, quantificato in poco più di 50.000 euro [30]. Nella sentenza, d’altronde, pur accertando la responsabilità della convenuta, il Tribunale non ha ravvisato l’esistenza di tutti i danni invocati dalla ricorrente, accogliendo quindi solo parzialmente, sotto questo profilo, il ricorso. Quanto al primo motivo, il Tribunale ha ritenuto che la domanda delle ricorrenti contenesse tutti gli elementi atti ad identificare l’identità dei soggetti danneggiati, vale a [continua ..]
In primo luogo con la sentenza Gascogne il Tribunale ha inteso definitivamente qualificare l’azione risarcitoria come autonomo e specifico strumento predisposto dai Trattati a tutela dei singoli danneggiati dall’Unione per fatto del giudice. A parere di chi scrive, l’emancipazione di questo ricorso dall’esperimento di una previa azione di annullamento e, quindi, da eventuali rimedi compensativi, la si evince dalla circostanza che nella causa in questione, correttamente, il Tribunale ha condotto la sua analisi in maniera completamente autonoma, non facendo alcun riferimento alla giurisprudenza della Corte del 2013 che, invece, come rilevato in dottrina, avrebbe potuto costituire – almeno per l’accertamento della violazione – un importante dato acquisito su cui innestare le altre valutazioni relative alla pretesa risarcitoria [38]. Ci pare che il Tribunale abbia voluto così mettere in chiaro che nell’ambito di un’azione ex art. 340 TFUE è lui, e lui soltanto, a valutare della illiceità del comportamento anche nei casi, come quello in questione, dove la condotta incriminata è ... la propria. Forte poteva essere la tentazione di richiamare l’accertamento compiuto dalla Corte nelle sentenze del 2013 o, quantomeno, ricordare quelle argomentazioni per evidenziare la sostanziale “schizofrenia” della Corte di giustizia che – sebbene quale istituzione/parte e non più come soggetto giudicante – nella sentenza in epigrafe cerca, invece, di confutare la violazione del termine ragionevole del procedimento. Viceversa il Tribunale si limita a ricordare quella giurisprudenza [39] per poi procedere ad un esame nuovo e autonomo delle circostanze [40]. Potrebbe certo obiettarsi che tale percorso ha condotto al medesimo risultato cui pure era già pervenuta la Corte nel 2013, vale a dire l’accertamento nel caso di specie di una durata eccessiva del procedimento. Eppure, che vi sia stata una precisa disamina, e non un mero richiamo alla pronuncia della Corte, costituisce un elemento chiave per una ricostruzione sistematica del tema generale della responsabilità dei giudici comunitari. Il Tribunale – ben avvertito dell’impatto della sentenza in commento – ha voluto, dunque, esplicitare che non è necessaria la proposizione di un pourvoi alla Corte [continua ..]
Prima di occuparci dei problemi che la sentenza Gascogne ha senz’altro evidenziato, pare opportuno segnalare le questioni che, viceversa, paiono definitivamente risolte a seguito di questa pronuncia. In primo luogo sembrano chiariti i dubbi relativi al termine di prescrizione che, nel caso in questione, secondo il Tribunale deve decorrere dal giorno di pubblicazione della sentenza in cui si è realizzato l’ingiustificato ritardo [50]. Come noto, l’art. 46 dello Statuto della Corte di giustizia (applicabile al Tribunale ai sensi dell’art. 53, comma 1, dello stesso Statuto) stabilisce che le azioni di responsabilità extracontrattuale a carico dell’UE si prescrivono entro cinque anni a partire dal «momento in cui avviene il fatto che dà origine» alla responsabilità. Ora, nell’ipotesi in cui il “fatto” consista in un’irregolarità della procedura che si concretizza in un processo irragionevolmente lungo – dunque non un singolo atto ma un’azione duratura – pare corretto far decorrere il termine di prescrizione dal momento in cui tale condotta si conclude che, quindi, coincide con il giorno della pubblicazione della sentenza. È questo certamente un criterio obiettivo utilizzabile per tutti i casi di durata irragionevole dei processi: un termine siffatto garantisce il principio di certezza di diritto così come stabilito dalla stessa giurisprudenza di Lussemburgo [51]. Individuare il termine dalla conoscenza “soggettiva” del ritardo – che nel caso di specie potrebbe essere identificata anche in un periodo in cui la sentenza deve ancora essere pubblicata – rischierebbe verosimilmente di privare le ricorrenti del diritto di esercitare la loro azione proprio a causa del ritardo dell’attività giudiziaria. Si scioglie così un nodo a nostro avviso ovvio, ma che nondimeno aveva sollevato talune perplessità [52]. Secondo queste, in caso di azione risarcitoria a motivo della lungaggine del processo europeo il termine doveva decorrere dal giorno in cui tale ritardo fosse stato accertato e, dunque, dal giorno in cui la Corte avesse pubblicato la sentenza nell’ambito di un pourvoi [53]. Tale interpretazione ancorava, quindi, l’azione risarcitoria al previo esperimento di un’azione di annullamento, ponendosi in [continua ..]
Com’è noto, il Trattato di Lisbona, con l’art. 19 TUE, ha ridisegnato il sistema giudiziario europeo stabilendo che «la Corte di giustizia dell’Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i Tribunali specializzati». Esso sancisce, inoltre, che la Corte di giustizia è composta da un giudice per Stato membro, mentre il Tribunale da «almeno» un giudice per Stato membro, aprendo così alla opportunità di allargare la componente dei giudici di prime cure senza necessità di una procedura di revisione dei trattati ex art. 47 TUE, ma in osservanza della procedura prevista dagli artt. 254, comma 1, e 281, comma 2, TFUE. Vero è che – a seguito dell’entrata in vigore del recente regolamento 2015/2422 del Parlamento e del Consiglio [72] – dal 19 settembre 2016 i ventotto membri del Tribunale sono divenuti quarantasette avendo ivi trasferito i sette giudici del Tribunale della Funzione Pubblica (le cui competenze sono quindi state assorbite dal Tribunale) e avendo aggiunto altri dodici giudici. Tale aumento si pone come una fase transitoria, dato che il regolamento ha l’obiettivo di raddoppiare il numero iniziale di ventotto entro il 2019 [73]. A prescindere dalle nuove cifre introdotte dalla riforma, del cui valore sostanziale pure discuteremo, occorre però dapprima evidenziare le ragioni che sono alla base di tale intervento legislativo [74]. In particolare i considerando 2 e 3 del regolamento 2015/2422 ricollegano espressamente la riforma alla giurisprudenza sin qui esaminata. Si richiama, infatti, l’aumento delle cause introdotte dinanzi a questa giurisdizione a motivo, tra l’altro, del progressivo ampliamento delle competenze attribuite al Tribunale che, prevedibilmente, ha condotto a una durata dei procedimenti “non accettabile” per le parti coinvolte, in particolare alla luce dei principi affermati dall’art. 47 CDF e dall’art. 6 CEDU. Tale situazione è attribuita, inoltre, «all’intensificazione e alla diversificazione degli atti giuridici delle istituzioni (...), nonché al volume e alla complessità delle cause di cui il Tribunale è investito, soprattutto in materia di concorrenza, aiuti di Stato e proprietà intellettuale» [75]. Il legislatore ricorda, poi, la mancata attivazione dei Tribunali [continua ..]
In conclusione, con la sentenza Gascogne il Tribunale ha potuto esprimere la sua posizione su un tema tanto delicato quanto importante quale la responsabilità dell’Unione per fatto del giudice, partecipando così indirettamente al dibattito in merito alla riforma del sistema giudiziario dell’Unione. Il rilievo di questa pronuncia è, infatti, certamente amplificato dal frangente storico in cui essa si colloca: un momento di crisi politica dell’Unione [80] e di importanti riorganizzazioni per la Corte di giustizia dell’Unione [81]. La coincidenza tra crisi del sistema e riforme dell’apparato giudiziario non pare una casualità essendo quest’ultimo un elemento altamente rappresentativo della qualità dell’ordinamento giuridico di appartenenza [82]. Più opache sono le finestre dei palazzi di giustizia, più criticabili e distanti dai cittadini paiono le norme che in quei palazzi dovrebbero essere tutelate. In questo senso sia la sentenza Gascogne, che la recente riforma del Tribunale, possono essere interpretate come una precisa volontà di tutte le istituzioni europee di rilanciare l’ordinamento dell’Unione nella sua immagine di comunità di diritto, caratterizzata da un sistema giudiziario efficiente. In effetti, la celerità e l’effettività della tutela giurisdizionale costituiscono, tra l’altro, un decisivo elemento non solo per i singoli, ma anche per le imprese che vogliono investire nel mercato interno [83]. Pertanto, che il Tribunale abbia riconosciuto che una sua precedente condotta si sia svolta con irragionevole ritardo e, per di più, che tale durata abbia cagionato un danno ai soggetti interessati, dovrebbe rappresentare un importante segnale di conforto per le imprese che operano nel mercato interno. D’altra parte, l’esiguità delle somme effettivamente risarcite e i problemi di imparzialità dell’organo giudicante che, come sopra illustrato, ancora rimangono, potrebbero tuttora lasciare perplessi gli operatori economici. Se la creazione di una sezione specializzata in materia di responsabilità aquiliana dell’Unione potrebbe, ove realizzata, risolvere la questione della terzietà dei giudici in questo tipo di ricorsi, rimarrebbe insoluta la complessa questione della quantificazione del danno. [continua ..]