Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Il ruolo dei triloghi nel processo legislativo dell'UE (di Giacomo Rugge)


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Over the last fifteen years, the EU institutions have been increasingly relying on trilogue negotiations in order to streamline the law-making process and to make it more effective. Trilogue negotiations are informal meetings held behind closed doors by small groups of representatives of Parliament, Council and Commission, during which the three institutions discuss and define features and contents of legislative initiatives. According to some authors, though, the informality and confidentiality of trilogue negotiations pose a major challenge to the principle of transparency as provided for by the Treaties. With this in mind, the purpose of this article is to carry out a legal analysis of trilogue negotiations, paying particular attention to the role of informality and the tension between transparency and effectiveness within the European legislative process.

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SOMMARIO:

I. Introduzione - II. I triloghi e l'informalità: cenni dogmatici - III. I primi esempi di triloghi: la procedura di concertazione e la cooperazione istituzionale in materia di bilancio - IV. I triloghi nella codecisione e nella procedura legislativa ordinaria - V. I triloghi: aspetti generali - VI. (Segue). Le 'regole d'ingaggio' - VII. I triloghi: tra effettività e trasparenza - VIII. I tri­loghi e il principio dell'equilibrio istituzionale nella più recente giurisprudenza della Corte - IX. Conclusione - NOTE


I. Introduzione

L’informalità è un fattore ineliminabile di tutti i processi legislativi e dunque di tutti gli ordinamenti giuridici. In quello dell’UE essa assume – come si sottolineerà più avanti – una speciale rilevanza proprio in grazia alla natura costituzionale dell’Unione. La questione dell’informalità viene in evidenza, in modo particolarmente utile all’analisi, nella procedura messa a tema di questo articolo: quella che si articola nei cosiddetti triloghi. Essi rappresentano uno snodo essenziale della procedura di codecisione (oggi: procedura legislativa ordinaria) caratteristica del sistema dell’Unione. Benché molto si sia scritto in merito all’impatto della codecisione sull’ordi­namento dell’UE, la ricorrenza del ventennio dalla sua istituzione offre l’occa­sione per indagare le modalità pratiche attraverso cui, nel volgere di questi anni, le istituzioni politiche dell’Unione hanno reso operativa tale procedura [1]. A tal fine occorre muovere da una considerazione, ossia che il procedimento legislativo è solo una parte di quell’insieme di attività e forme, che, unitariamente considerate, costituiscono il processo legislativo [2]. Infatti, l’efficace svolgimento del procedimento legislativo, quale sequenza giuridicamente preordinata di attività che porta all’eventuale adozione di un atto legislativo, dipende, in massima parte, dall’esistenza di “fatti” (prassi, convenzioni, attività informali etc.), che integrano il dato normativo costituzionale e favoriscono il coordinamento tra gli attori coinvolti [3]. Ed è proprio ai suddetti “fatti” e, in particolare, al ruolo dei triloghi nel processo legislativo dell’UE che si vogliono dedicare queste pagine. Per “triloghi” s’intendono negoziati informali cui prendono parte alcuni rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione. Nel corso di tali negoziati le tre istituzioni concordano orientamenti politici e bozze di emendamento riguardo alle proposte legislative avanzate dalla Commissione. Quanto convenuto in seno ai triloghi viene poi presentato alle plenarie di Consiglio e Parlamento e forma oggetto di dibattito e, frequentemente, di adozione [4]. Introdotti alla metà degli anni ’90 come [continua ..]


II. I triloghi e l'informalità: cenni dogmatici

 Come poc’anzi anticipato, i triloghi si svolgono a porte chiuse, in un regime d’informalità. A questi negoziati, infatti, non possono accedere che i soli (pochi) rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione; l’accesso a telecamere è interdetto; non v’è registrazione degli incontri; mancano verbali ufficiali delle riunioni. E proprio l’informalità, che caratterizza lo svolgimento dei triloghi, sembra essere la chiave del loro successo. Ma cosa deve intendersi per “informalità” a livello istituzionale? Innanzitutto, nonostante la giuspubblicistica non abbia visioni unanimi circa il significato e il ruolo dell’“informalità”, può certamente dirsi che essa afferisce al concetto di governance intesa come «superamento delle procedure con cui [le] istituzioni decidono» in vista del perseguimento di «modi nuovi e comunque diversi di gestire processi decisionali complessi» [7]. L’informalità quindi non interessa gli atti quali sintesi e prodotti di procedure decisionali, bensì le modalità di svolgimento delle procedure decisionali stesse. Nell’UE, l’informalità non caratterizza solamente il processo legislativo. Infatti, elementi informali possono rintracciarsi nei metodi di lavoro e nei processi decisionali di molte istituzioni dell’Unione. Si pensi alle riunioni del Consiglio europeo, le quali in questi anni di crisi economica hanno rivisto, contrariamente a quella che sembrava una tendenza alla formalizzazione, un riemergere dell’informalità [8]. O ancora, si pensi alle riunioni dell’Eurogruppo (organo di coordinamento consultivo dei diciannove Stati membri dell’Euro­zona), per le quali esiste un vero e proprio obbligo di svolgimento informale (art. 1 del Protocollo n. 14) [9]. L’informalità ha quindi i tratti di un “fatto” di rilevanza costituzionale, fortemente integrato nel tessuto della governance dell’UE [10]. E ciò non stupisce, se si considera che l’Unione europea è stata spesso considerata un esempio di consensus democracy [11], vale a dire di democrazia le cui procedure decisionali, diversamente da quelle di una democrazia di stampo maggioritario, cercano di prendere in considerazione il più ampio ventaglio di [continua ..]


III. I primi esempi di triloghi: la procedura di concertazione e la cooperazione istituzionale in materia di bilancio

La necessità di garantire un efficace coordinamento interistituzionale è esigenza propria a tutti gli ordinamenti e, ovviamente, anche a quello dell’U­nione europea. A conferma di ciò, si possono richiamare tutti quegli strumenti – soprattutto di soft law – attraverso cui le istituzioni dell’UE hanno cercato di definire le modalità della loro cooperazione. Si pensi, in particolare, agli accordi interistituzionali. Essi – s’è detto – costituiscono «un mezzo di auto-integrazione del sistema costituzionale» e mirano a «colmare, anche sul piano interpretativo, eventuali lacune delle norme volte a distribuire le competenze, specialmente quelle legislative, tra organi la cui autonomia è garantita a pari titolo [dai Trattati]» [22]. I primi accordi interistituzionali furono conclusi negli anni ’70 e subito la dottrina si domandò se essi avessero mera valenza politica oppure dovessero considerarsi vincolanti e, in ultima analisi, giustiziabili. A tale riguardo, la Corte di giustizia ebbe modo di chiarire che tali atti erano vincolanti solamente quando, da una loro lettura, fosse emersa la volontà delle istituzioni di impegnarsi reciprocamente [23]. Al fine di ricostruire il valore giuridico dell’accordo in questione, l’interprete a­vrebbe potuto avvalersi di alcuni ‘indici’, quali, inter alia, il linguaggio utilizzato dalle istituzioni nella redazione dell’accordo stesso ovvero la sua pubblicazione nella serie “C” della Gazzetta Ufficiale (“Comunicazioni e informazioni”) piuttosto che nella serie “L” (“Legislazione”) [24]. Il Trattato di Lisbona, facendo propria la giurisprudenza dei giudici di Lussemburgo, ha da ultimo introdotto nell’ordinamento dell’Unione l’art. 295 TFUE, il quale riconosce a Parlamento, Consiglio e Commissione la facoltà di concludere accordi interistituzionali anche di natura vincolante. Naturalmente, qualora non sia possibile desumere per tabulas la volontà delle istituzioni, si potrà sempre fare riferimento agli indici or ora indicati. Nell’ambito legislativo l’esigenza di favorire il dialogo tra istituzioni s’è da sempre avvertita in maniera assai pressante. Infatti, l’esercizio della funzione legislativa a livello UE [continua ..]


IV. I triloghi nella codecisione e nella procedura legislativa ordinaria

Soddisfatte degli esiti raggiunti attraverso il ricorso a tali incontri trilaterali, le istituzioni dell’UE si avvalsero dei triloghi non solo nell’ambito della procedura di cooperazione [32] ma anche nel contesto della successiva procedura di codecisione. All’indomani dell’entrata in vigore di quest’ultima procedura, introdotta dal Trattato di Maastricht nel 1993, Parlamento, Consiglio e Commissione dichiararono espressamente quanto segue: «nel quadro della procedura di cooperazione si constata che la prassi corrente comporta in genere, soprattutto per le questioni più delicate, dei contatti tra la Presidenza del Consiglio, la Commissione e i Presidenti e/o i relatori delle commissioni competenti del Parlamento europeo. Le istituzioni confermano che tale prassi dovrà essere mantenuta e potrà svilupparsi nell’ambito della procedura dell’articolo 189 B [procedura di codecisione] del trattato che istituisce la Comunità europea» [33]. Com’è noto, all’istituzione della codecisione – una procedura in base alla quale l’atto giuridico viene adottato congiuntamente e in via paritaria da Parlamento e Consiglio [34] – si arrivò a seguito di un percorso che, non senza qualche approssimazione, può riassumersi in due tappe: l’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo in materia di bilancio in virtù del Trattato di Lussemburgo del 1970 e del Trattato di Bruxelles del 1975, con i quali s’i­stituì una procedura per l’adozione del budget comunitario suddivisa in due letture e con la possibilità per il Parlamento di respingere l’atto [35]; l’in­tro­duzione nell’ordi­namento comunitario della procedura di cooperazione ad opera dell’Atto unico europeo del 1986, con la quale si consentì al Parlamento di procedere a una seconda lettura delle proposte legislative, obbligando eventualmente il Consiglio a votare all’unanimità (e non a maggioranza qualificata) le “posizioni comuni” respinte dal Parlamento [36]. Al suo esordio nell’ordinamento comunitario, la procedura di codecisione trovò applicazione in quindici basi giuridiche, corrispondenti a solo un quarto delle proposte legislative effettivamente presentate al Parlamento. In seguito, con i Trattati di Amsterdam (1997) e [continua ..]


V. I triloghi: aspetti generali

Sebbene, come appena visto, la procedura legislativa ordinaria preveda – come la precedente procedura di codecisione – delle forme d’incontro e dialogo tra Commissione, Consiglio e Parlamento, i Trattati dell’UE non fanno menzione dei triloghi. Alcune indicazioni circa le modalità di svolgimento di questi incontri si ricavano per analogia dalla lettura della Dichiarazione comune sulle modalità pratiche della procedura di codecisione del 2007 [39] e dal­l’analisi del Regolamento interno del PE [40]. Nessun riferimento alle riunioni tripartite è invece rinvenibile nei regolamenti interni di Consiglio e Commissione [41]. La Dichiarazione comune sulle modalità pratiche della procedura di codecisione del 2007 afferma che «la collaborazione tra le istituzioni, nel contesto della codecisione, spesso assume la forma di riunioni tripartite … informali» [42]. I triloghi possono svolgersi in fasi diverse della procedura legislativa. Tuttavia, nella gran parte dei casi, si cerca di raggiungere un compromesso ancor prima che il Parlamento abbia adottato la propria posizione in prima lettura (c.d. first reading agreements) [43]. Infatti, nel corso della prima lettura i Trattati non prescrivono un termine per l’adozione dell’atto. Sicché, non appena la Commissione presenta una proposta legislativa a Parlamento e Consiglio, si apre una fase in cui le istituzioni legislative possono portare avanti, senza affanno, contatti informali volti a risolvere le disparità di vedute. Si stima che circa l’85% della legislazione europea sia frutto di first-reading agreements [44]. Nondimeno, i triloghi vengono indetti anche in fasi successive della procedura ordinaria, vale a dire nel lasso di tempo che intercorre tra l’adozione della posizione in prima lettura da parte del PE e l’adozione della posizione in prima lettura da parte del Consiglio (c.d. early-second reading agreements) ovvero a seguito dell’adozione della posizione in prima lettura da parte del Consiglio (c.d. second reading agreements). Nel primo caso è il Parlamento che, all’avvio della seconda lettura, è chiamato ad approvare a maggioranza semplice la posizione espressa in prima lettura dal Consiglio, la quale incorpora i compromessi raggiunti nel corso [continua ..]


VI. (Segue). Le 'regole d'ingaggio'

(Segue). Il Regolamento interno del PE stabilisce una disciplina piuttosto dettagliata circa le condizioni e le modalità di partecipazione dell’as­semblea ai negoziati interistituzionali. Nello specifico, l’art. 73, par. 2, c. 1, Reg. PE disciplina la c.d. standard procedure. Essa prevede che i contatti con Consiglio e Commissione debbano aver luogo solo dopo che la commissione parlamentare competente abbia assunto una decisione in tal senso a maggioranza assoluta. Quest’ultima stabilisce anche il mandato e la composizione della squadra negoziale. Il mandato è costituito da una relazione adottata in commissione, la quale include gli eventuali emendamenti alla proposta legislativa. La squadra negoziale è normalmente guidata dal deputato-relatore e presieduta dal presidente della commissione competente. Tale squadra comprende anche i c.d. relatori-ombra di ogni gruppo politico. L’art. 73, par. 2, c. 2, e l’art. 74 Reg. PE disciplinano, invece, la c.d. exceptional procedure. Essa trova applicazione solamente «qualora la commissione competente ritenga debitamente giustificato avviare negoziati anteriormente all’approvazione di una relazione in commissione». In tal caso, il mandato può essere costituito da una serie di emendamenti ovvero di obiettivi, priorità o orientamenti chiaramente definiti. La composizione della squadra negoziale rimane la stessa di cui sopra. La standard procedure può essere applicata sia nel corso della prima che della seconda lettura e prevede che i negoziati possano essere avviati subito dopo la notifica al Presidente del Parlamento della decisione della commissione competente [50]. La exceptional procedure, invece, può essere utilizzata solo in prima lettura e prevede un eventuale coinvolgimento della plenaria per l’a­dozione del mandato [51]. La partecipazione del Consiglio ai triloghi è invece caratterizzata da maggiore flessibilità. Di norma, la delegazione di tale istituzione è presieduta dal presidente del COREPER I ovvero del COREPER II (rispettivamente, il Rappresentante permanente aggiunto e il Rappresentante permanente dello Stato membro che assicura la presidenza del Consiglio “Affari generali”) [52]. Il presidente di tali organi è affiancato da esperti nazionali (funzionari [continua ..]


VII. I triloghi: tra effettività e trasparenza

I triloghi sono stati oggetto di forti critiche [59]. Si è sostenuto, infatti, che la prassi delle istituzioni di incontrarsi in camera si porrebbe in aperto contrasto con i principi democratici che fondano il parlamentarismo europeo (art. 9-12 TUE) e, in particolare, con il principio di trasparenza (art. 1, c. 2, art. 10, par. 3, TUE nonché art. 15, par. 2 e 3, TFUE) [60]. Benché comprensibili sulla base del pre-giudizio che le origina, tali critiche sembrano sottovalutare l’importanza di tutte quelle istanze informali attraverso cui le istituzioni rendono operativo il processo di decisione delle leggi. Al riguardo può richiamarsi la nota teoria di Luhmann sulla “doppia struttura” del processo legislativo [61]. Secondo il sociologo tedesco, l’esercizio del potere legislativo non si basa solo sulle procedure parlamentari formalmente intese e le relative deliberazioni, ma anche sull’esistenza di «sistemi informali di contatto» [62]. Per Luhmann tali sistemi hanno un compito cruciale: favorire l’emergere delle condizioni necessarie a un efficace svolgimento della funzione legislativa. Per esempio, i rapporti personali e informali agevolano la creazione del consenso e danno vita a “strutture sociali” le cui dinamiche e regole risultano facilmente intuibili anche per gli attori politici meno esperti [63]. Così facendo, i “sistemi informali di contatto” semplificano la complessa realtà sociale del processo legislativo. Orbene, se è vero che la trasparenza del processo legislativo corrisponde all’esigenza democratica di controllare l’operato dei rappresentanti che siedono in Parlamento, è altrettanto vero che disporre di istituzioni legislative capaci di (inter)agire in maniera efficace e tempestiva si collega a un’esigenza parimenti cogente, ossia al bisogno di effettività degli ordinamenti giuridici [64]: infatti, «governments have to be able to do things which they claim they can do, as well as those which they are expected to do; they have to work» [65]. Pertanto, le norme formalmente approvate che regolano l’esercizio della funzione legislativa devono risultare anche concretamente applicabili affinché esse possano dirsi parte integrante dell’ordinamento giuridico [66]. Ed è proprio in quanto idonei a soddisfare [continua ..]


VIII. I tri­loghi e il principio dell'equilibrio istituzionale nella più recente giurisprudenza della Corte

Ulteriori perplessità sono state avanzate nei confronti dei triloghi anche in relazione alla loro compatibilità con il principio dell’equilibrio istituzionale. Si tratta di un profilo problematico di sicuro interesse, sul quale la stessa Corte di giustizia è stata chiamata in sostanza a pronunciarsi in una recente sentenza che avrà un forte impatto sulla futura prassi degli accordi in prima lettura [74]. Nella pronuncia resa il 14 aprile 2015, nel procedimento che ha visto opposti Consiglio e Commissione, la Corte di giustizia è intervenuta per dirimere alcune incertezze riguardanti l’ambito applicativo della norma di cui all’art. 293, par. 2, TFUE. In particolare, si trattava di decidere se il potere di modifica, che la disposizione in questione attribuisce alla Commissione, sia tale da ricomprendere anche il potere di ritiro delle proposte legislative [75]. Prima di quest’ultima controversia, la Corte aveva più volte accennato al potere di modifica, ma non si era mai soffermata a definirne portata e significato [76] e in un solo caso – e piuttosto en passant – i giudici di Lussemburgo avevano affermato che la Commissione può ritirare le proprie proposte [77]. Nel ricorso alla Corte, il Consiglio chiedeva l’annullamento della decisione con cui la Commissione aveva ritirato la proposta di regolamento quadro in materia di assistenza macrofinanziaria ai paesi terzi, adducendo come motivazione che «l’accordo [informale] che si andava profilando tra i due co-legi­slatori non avrebbe permesso di conseguire gli obiettivi che l’istituzione si prefiggeva con il testo proposto» [78]. Tra i motivi posti a fondamento del ricorso, il Consiglio considerava illegittimo l’uso del potere di ritiro da parte della Commissione, in quanto pregiudicava segnatamente il principio dell’equilibrio istituzionale [79] nonché quel­lo di leale cooperazione e di democrazia. Nello specifico, il Consiglio argomentava, in merito alla violazione dell’equilibrio istituzionale e del principio della leale cooperazione tra istituzioni, che il potere di ritiro potesse essere esercitato solo in presenza di specifiche situazioni oggettive (esaurimento del tempo, emergere di nuove circostanze o dati che rendano la proposta legislativa obsoleta o priva di oggetto, un’assenza duratura [continua ..]


IX. Conclusione

Dall’insieme delle considerazioni svolte nei paragrafi precedenti emerge, dunque, che i triloghi e la loro informalità entrano in qualche misura in collisione con alcuni principi dell’ordinamento europeo, tra i quali soprattutto il principio di trasparenza e quello dell’equilibrio istituzionale [92]. Tuttavia, è innegabile che la loro nascita e il loro proliferare abbiano trovato – e trovino ancora – una loro giustificazione (1) in un’esigenza contingente, ossia permettere il funzionamento delle procedure legislative dell’UE in ottemperanza al principio di effettività (si pensi alle crisi di bilancio degli anni ’80); (2) nel desiderio espresso dai redattori dei Trattati di mantenere un’istanza informale che garantisca l’ef­ficace cooperazione interistituzionale in ambito legislativo (si pensi al dibattito che ebbe luogo in seno alla Convenzione europea) e, infine, (3) nella semplice circostanza per cui il processo legislativo non è solo una sequenza di atti prevista da norme sulla produzione, ma anche un «fenomeno dinamico della realtà sociale», del quale i rapporti personali e informali e, più in generale, le regole del costume politico costituiscono parte imprescindibile e ineliminabile [93]. Seguendo l’insegnamento di Santi Romano, le regole del costume politico «contribuiscono grandemente alla flessibilità e, quindi, alla stabilità dell’or­dinamento […] Se questo è rigidamente fissato in tutte le sue parti da norme giuridiche […] corre maggiormente il rischio di crollare sotto l’impeto delle varie e variabili correnti che agitano sempre la vita politica […]. Se un ordinamento invece presenta entro la sua cerchia degli spazi liberi, o, meglio, riserbati al costume politico, sarà questo, a preferenza del primo, che subirà le ondate sovvertitrici e potrà essere modificato e sostituito senza che si tocchino le istituzioni giuridiche» [94]. In una fase storica ove gli organi elettivi, in particolare i parlamenti, incontrano profonde difficoltà «nel convogliare nuove esigenze e nel tradurle in atti normativi dotati di efficacia erga omnes, nonché nel pervenire a soluzioni rapide ed efficienti» [95], è necessario pensare a modi nuovi di gestire processi decisionali sempre più [continua ..]


NOTE