Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Il ruolo del Consiglio europeo nella crisi dell'euro (di Simonetta Izzo, Ricercatore di diritto internazionale, Università “Federico II” diNapoli)


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This article deals with the role of the European Council in managing the euro-zone’s crisis as the key institution in the European Union architecture. The analysis concerning the mechanisms and instruments adopted within and outside the European Union framework to react the crisis is revisited also in light of the creation of a stable European Council president, who has proved of exerting a direct influence on institution’s activities. After examing the most significant initiatives of the European Council in response to the crisis, the study focuses more closely on the impact of institution’s activities on the ongoing integration process in the field of economic coordination among Member States. In particular, the article is aimed to point out how the new intergovernmentalism, based on the research of consensus within the European Council, has evolved into a method of integration. In sum, without a formal transfer of competences to the EU supranational institutions, it has been possible to increase integration process in the field of economic governance.

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SOMMARIO:

I. Premessa. - II. Consiglio europeo e strumenti anti-crisi - III. (Segue): metodi e governance economica dell’Unione europea. - IV. (Segue): ruolo del Consiglio europeo e del suo presidente. - V. Crisi dell’euro ed equilibrio istituzionale. - VI. Considerazioni conclusive. - NOTE


I. Premessa.

A fronte della grave crisi finanziaria ed economica che ha investito gli Stati membri dell’Unione europea, il Consiglio europeo ha svolto un ruolo di primo piano nel predisporre misure e strumenti di contrasto, rendendo ancora più appariscente, se possibile, la sua indiscussa rilevanza nell’architettura istituzionale dell’Unione. Ciò, a giudizio di molti, avrebbe comportato non solo una sorta di deriva intergovernativa, segnata dal ridimensionamento del ruolo delle istituzioni che rappresentano l’espressione degli interessi dell’Unione – pri­ma fra tutte la Commissione –, e dal conseguente declino del c.d. “metodo co­munitario” [1], ma anche il rischio concreto di un brusco rallentamento del processo di integrazione europea. Eppure, una straordinaria accelerazione impressa a tale processo si deve registrare proprio a seguito degli interventi attuati per fronteggiare sfide che hanno minacciato «il cuore materiale e simbolico dell’Unione, l’euro» [2]. Ora, da un canto, è di palmare evidenza la posizione chiave assunta in tale contesto dal Consiglio europeo, vero motore dei cambiamenti e delle svolte che hanno segnato il cammino della Comunità e poi dell’Unione; dall’altro, non sempre appaiono chiare le dinamiche che ne sono alla base e, più generale, gli effetti di tale posizione di preminenza sugli sviluppi del processo di integrazione concernenti il coordinamento tra Stati membri in materia di politica economica. Ancora, vale la pena notare che la gestione della crisi ha più o meno coinciso, dal punto di vista cronologico, con il “nuovo corso” del Consiglio europeo, inserito formalmente nel quadro istituzionale dell’Unione e dotato di una presidenza stabile a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Ebbene, proprio alla luce di tali innovazioni, il presente lavoro si propone di verificare se queste abbiano inciso sul modus operandi del Consiglio e, in particolare, se abbiano contribuito a rafforzare la sua natura di perno intorno cui ruota l’intera costruzione europea. Pertanto, ci si soffermerà brevemente sul ventaglio degli interventi attuati in risposta alla crisi del debito sovrano, al fine di delineare il ruolo esercitato al riguardo dal Consiglio europeo, nell’intento di mettere a fuoco non solo le dinamiche [continua ..]


II. Consiglio europeo e strumenti anti-crisi

Prima di prendere in esame il ruolo del Consiglio europeo nella gestione della crisi, si deve rammentare che il complesso delle misure adottate al riguardo ha trovato origine e collocazione non solo nell’ambito, ma anche al di fuori del quadro giuridico dell’Unione. In via generale, le misure di cui si discute sono state adottate sia per predisporre meccanismi di sostegno finanziario agli Stati membri in difficoltà, sia per assicurare un maggiore coordinamento ed una più efficace sorveglianza in ordine alle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri, sia per stabilizzare il sistema monetario e creare una nuova governance per il settore del credito. Va subito segnalato che, nel presente lavoro, ci si soffermerà sulle prime due tipologie di misure. Nella prima tipologia, prescindendo da accordi di carattere intergovernativo conclusi tra gli Stati membri dell’eurozona per preservare la stabilità finanziaria della Grecia [3], rientrano il Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finan­ziaria (MESF), istituito dal Consiglio Ecofin con il Regolamento n. 407/2010 [4], ossia un fondo cui ricorrere per sostenere Stati membri in difficoltà, e il Fondo Europeo per la Stabilità Finanziaria (FESF), una società di diritto privato lussemburghese, costituita dagli Stati membri dell’area euro mediante un accordo concluso a margine della riunione del Consiglio Ecofin del 9 maggio 2010, avente il compito di emettere prestiti o garanzie nei confronti di Stati membri, sulla base di specifici accordi volti a disciplinarne la rigorosa condizionalità [5]. Allo scopo di superare la temporaneità e l’inadeguatezza delle misure appena richiamate, nonché i dubbi circa la loro compatibilità con il divieto di assistenza finanziaria stabilito dall’art. 125 TFUE [6], si è deciso di creare un meccanismo di sostegno finanziario a carattere permanente cui gli Stati membri facenti parte dell’area euro possono rivolgersi per richiedere finanziamenti. A tal fine, attraverso un accordo internazionale concluso il 2 febbraio 2012 dagli allora diciassette Stati membri dell’eurozona, è stato istituito il c.d. Meccanismo europeo di stabilità (MES), vale a dire un’organizzazione internazionale intergovernativa, con sede a Lussemburgo e assimilabile per certi versi al Fon­do monetario [continua ..]


III. (Segue): metodi e governance economica dell’Unione europea.

(Segue). Al fine di valutare meglio l’impatto del ruolo assunto nella gestione della crisi dal Consiglio europeo sugli assetti istituzionali dell’Unione e, più in generale, sul processo di integrazione in corso – sia pure con specifico riguardo al coordinamento delle politiche economiche tra Stati membri –, conviene in via preliminare ricordare le ragioni che hanno portato ad adottare rilevanti misure al di fuori del quadro giuridico dell’Unione. Si è già rammentato che nel preambolo del Fiscal compact si richiama la mancanza di unanime consenso tra gli Stati membri, ma, in effetti, la principale ragione risiede nella circostanza per cui le regole contenute nel Trattato sul­l’Unione europea (TUE) e nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) sono risultate assolutamente inadeguate a gestire la crisi [21], facendo venire allo scoperto tutti i limiti e le debolezze del modello di Unione economica e monetaria (UEM) delineato dal Trattato di Maastricht; un modello “asimmetrico”, inteso a separare la politica monetaria, affidata all’Unione, dalla politica economica, lasciata agli Stati membri, salvo l’obbligo in capo a questi ultimi di rispettare certe regole di bilancio e l’impegno di coordinare le rispettive politiche economiche nell’ambito dell’Unione (art. 5, par. 1, comma 1, TFUE) [22]. Se si aggiunge l’estrema fragilità e l’inadeguatezza delle disposizioni sul coordinamento delle politiche economiche (art. 121 TFUE) e di quelle concernenti le procedure di deficit eccessivo (art. 126 TFUE), ben si comprende che si sarebbe dovuta operare una revisione dei trattati al fine di dotare l’Unione di strumenti più appropriati ed efficaci per contrastare la crisi [23]. Ciò non è stato possibile, sia per la riluttanza degli Stati membri ad attribuire nuove competenze e risorse all’Unione sia per il rifiuto opposto da alcuni Stati membri – in primis, il Regno Unito – verso qualsiasi ipotesi di modifica dei trattati. In verità, si è sostenuto che ci si sarebbe potuti muovere ugualmente nell’ambito del sistema normativo dell’Unione attraverso un’applicazione della clausola di flessibilità di cui all’art. 352 TFUE, oppure attuando una cooperazione rafforzata ex art. 20 TUE. Le soluzioni [continua ..]


IV. (Segue): ruolo del Consiglio europeo e del suo presidente.

(Segue). Il ruolo determinante svolto dal Consiglio europeo nel contesto in esame non sorprende affatto e ciò per una serie di motivi, alcuni già messi in luce nelle pagine che precedono. Innanzitutto, è fin troppo noto che fasi di stallo e momenti di crisi nel processo di integrazione sono stati superati proprio grazie all’azione del Consiglio europeo [37], che quindi, a maggior ragione nel caso di specie, ha costituito la sede naturale per individuare linee e misure d’intervento tese a superare situazioni di straordinaria gravità [38]. In verità, da più parti si ritiene che il Consiglio europeo abbia travalicato le sue funzioni, non limitandosi alla definizione di orientamenti e di priorità politiche generali, ma esercitando un intenso condizionamento sull’operato di altre istituzioni ed assumendo rilevanti decisioni di carattere esecutivo [39]. Al riguardo, va ricordato che da sempre appare difficile circoscrivere il perimetro entro cui si spiega l’azione del Consiglio europeo [40]; anche dopo aver acquisito lo status di istituzione, quest’ultimo conserva tutto il carattere di originalità che lo ha sempre connotato e che riflette le particolari circostanze in cui è nato e si è sviluppato e, dunque, la sua natura prettamente “politica”, che sfugge ad una definizione unitaria e ad una precisa catalogazione nel panorama istituzionale, operando spesso al di fuori dei normali meccanismi di funzionamento dell’U­nione. In relazione, poi, al condizionamento che avrebbe inciso sulle competenze attribuite ad altre istituzioni – in primis quella di iniziativa legislativa ri­conosciuta alla Commissione –, si obietta che anche in passato importanti decisioni, «sometimes detailed and of Community-wide scope» [41], sono state assunte, a livello politico, in seno al Consiglio europeo, per essere in seguito deliberate sul piano legislativo dalle istituzioni competenti [42]. Quanto al carattere di alcune decisioni, ugualmente suscettibile di alterare le prerogative di altre istituzioni, occorre tener conto non solo dell’eccezionale emergenza da gestire e del senso di urgenza prodotto dagli eventi, ma pure del ruolo effettivamente svolto al riguardo dal Consiglio europeo. Come si desume dai precedenti rilievi, si è trattato, in definitiva, [continua ..]


V. Crisi dell’euro ed equilibrio istituzionale.

Per quanto concerne gli eventuali riflessi prodotti dagli interventi anti-crisi sull’equilibrio istituzionale dell’Unione, non sembra debbano registrarsi profonde alterazioni [60]. Se la figura spesso evocata con riferimento al processo decisionale dell’Unione è quella di un quadrangolo – costituito da Consiglio europeo, Consiglio, Commissione e Parlamento –, fin dagli albori, il Consiglio europeo, in virtù dell’autorevolezza della sua composizione, occupa una posizione centrale all’interno di tale figura. Al di là del suo inserimento formale nel quadro istituzionale dell’Unione, esso continua ad essere ciò che è sempre stato – il cuore pulsante del processo di integrazione – e a svolgere le funzioni che ha sempre svolto. Le sue dinamiche evolutive riflettono quelle della Comunità e poi dell’Unione; dinamiche comunque segnate da piccoli o grandi cambiamenti che il Consiglio europeo ha sempre dato prova di saper gestire. Il ruolo svolto nella creazione e nell’evoluzione dell’UEM, assieme all’in­tento degli Stati membri di salvaguardare le proprie prerogative sovrane in materia economica, ha condotto il Consiglio europeo ad essere l’autentico “de­cision-maker” nella gestione della crisi, mediante interventi finalizzati a superare una delle fasi più drammatiche della storia dell’Unione europea [61]. Tale indiscussa preminenza, per molti, si sarebbe tradotta nell’esautoramento delle competenze di altre istituzioni – innanzitutto della Commissione – e, dunque, nell’inesorabile declino del metodo comunitario. Ma, a prescindere dal fatto che non possono essere esautorate competenze non attribuite in base ai trattati istitutivi [62], nel corso della presente indagine si è visto come il metodo comunitario sia stato applicato anche nel settore in esame. Tuttavia, l’impossibilità di attuare determinati interventi facendo ricorso a tale metodo ha reso necessaria l’introduzione di misure e strumenti che hanno trovato il loro fondamento all’esterno del quadro giuridico dell’Unione, attraverso lo sviluppo di forme di coordinamento tra Stati membri [63]. La centralitàacquisita dal Consiglio europeo deriverebbe, quindi, dall’accresciuta necessità di ottenere il consenso politico al più [continua ..]


VI. Considerazioni conclusive.

Dal complesso dei rilievi finora svolti è possibile trarre alcune conclusioni. Prima, però, sia consentita una considerazione in via generale e cioè che la grande crisi dell’euro ha confermato la straordinaria capacità dell’Unione europea di adattarsi ai mutamenti, pure burrascosi, che possono verificarsi nel corso del tempo, mostrando di saper individuare modi e misure – talvolta del tutto originali – in grado di fronteggiare e gestire tali mutamenti [73]; una capacità che rende complicato qualsiasi tentativo di imbrigliare in schemi precostituiti le linee di sviluppo del processo di integrazione europea [74]. Passando a formulare alcune brevi conclusioni inerenti, in sostanza, all’im­patto degli interventi attuati per contrastare la crisi dell’euro sulle dinamiche del processo di integrazione europea, meritano di essere colti due aspetti, entrambi già evidenziati nelle pagine che precedono. Il primo riguarda una dinamica dell’integrazione sempre più differenziata ed asimmetrica. Come ben noto, sono gli stessi trattati a prevedere la possibilità di un’Unione europea “a più velocità” o “a geometria variabile”; ma, la crisi avrebbe accentuato le divisioni tra Stati membri facenti parte dell’eurozona e Stati membri che ne sono fuori [75], accrescendo notevolmente l’importanza di consessi di carattere intergovernativo limitati ai rappresentanti degli Stati la cui moneta è l’euro [76]. Vale la pena notare che un tentativo di ridimensionare, in un certo senso, le divisioni tra i due gruppi di Stati si potrebbe rinvenire nel­l’appartenenza del successore di Van Rompuy – l’ex primo ministro della Polonia Donald Tusk – ad uno Stato che non rientra nell’area euro [77]. Il secondo aspetto attiene al maggiore grado di integrazione raggiunto attraverso interventi posti in essere sul piano intergovernativo. In definitiva, una crisi che sembrava potesse minare le stesse fondamenta dell’Unione si è rivelata l’occasione per acquisire straordinari livelli di integrazione in un settore, quello dell’Unione economica e monetaria, interessato dalla più incisiva riforma dalla nascita dell’euro, senza voler sottacere, evidentemente, la necessità di completare e migliorare un processo [continua ..]


NOTE