Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Della sopravvivenza delle tradizioni costituzionali comuni alla Carta di Nizza: ovvero del mancato avverarsi di una (cronaca di una) morte annunciata (di Oreste Pollicino, Ordinario di Diritto Pubblico Comparato, Università commerciale“Luigi Bocconi” di Milano.)


Which is today, in the era of codification of fundamental rights in Europe, the role of common constitutional traditions? And, even more generally, is it still a meaningful concept or it risks to be meaningless to discuss, today, in the age of European bill(s) of rights, about the actual relevance of the common constitutional traditions? Those are the questions at the hearth of the paper. The answer, as the paper tries to demonstrate, is that, far from being marginalized due to the entry into force of the Charter of Nice, the common constitutional traditions are even more crucial than before thanks to the existence of the Charter.

SOMMARIO:

I. I quesiti di base. - II. Le tradizioni costituzionali comuni nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo prima della codificazione dei diritti da parte della Carta di Nizza. - III. Le tradizioni costituzionali comuni nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo all’indomani della proclamazione della Carta. - IV. (Segue). … e successivamente alla sua entrata in vigore: sopravvivenza (ed utilità) delle tradizioni costituzionali comuni, tra “assist” della Carta e mancata “finalizzazione” della Corte sul piano della teoria delle fonti … - V. (Segue). … e nuovo vigore interpretativo sul piano della teoria della interpretazione, nonostante e, a volte, grazie alla Carta. - VI. Tradizioni costituzionali comuni tra presenza ed assenza della componente dialogica. - VII. Spunti conclusivi (e prospettici). - NOTE


I. I quesiti di base.

Qual è oggi, nell’era della codificazione dei diritti in Europa, il ruolo delle tradizioni costituzionali comuni e, ancor prima, ha ancora un senso, dopo l’entrata in vigore della Carta di Nizza-Strasburgo, considerare rilevante e financo utile tale nozione? Queste le domande a cui si cercherà di rispondere in questo scritto. Domande che sembrano essere legittime visto che, a detta di molti, una delle conseguenze più ovvie della codificazione dei diritti in Europa (melius nell’ambito dell’Unione europea) sarebbe stata una progressiva marginalizzazione, o addirittura, un confinamento delle tradizioni costituzionali, ed ancor prima, dei principi generali del diritto dell’Unione. Ad entrambi, infatti, non sarebbe rimasto altro che giocare un ruolo esclusivamente suppletivo ed ancillare rispetto ad una Carta dei diritti di rango para-costituzionale e di carattere vincolante che avrebbe (finalmente) dotato l’Unione di quella autosufficienza in materia di diritti fondamentali in grado di ridurre di molto (se non azzerare) l’esigenza del ricorso tanto alle prime quanto ai secondi.


II. Le tradizioni costituzionali comuni nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo prima della codificazione dei diritti da parte della Carta di Nizza.

Per provare ad articolare una risposta di senso compiuto agli interrogativi iniziali è necessario concentrarsi, seppure, per forza di cose, senza il necessario approfondimento, su quale sia stato il ruolo giocato dalle tradizioni costituzionali comuni prima della codificazione dei diritti fondamentali in Europa. A questo proposito, in un lavoro precedente [2], attraverso un’analisi di matrice diacronica, si è provato a fare emergere come, a parte un primo periodo fondativo in cui il dato costituzionale domestico (non per forza comune) ha costituito una fonte di ispirazione privilegiata per la costituenda Comunità economica europea [3] ed una primissima fase in cui l’indifferenza o l’imper­meabilità [4] del diritto comunitario al fattore costituzionale degli Stati membri ha di fatto permesso alle tradizioni costituzionali comuni di giocare un ruolo essenziale per una analisi quantitativa di diritto comparato [5] da parte della Corte di giustizia, a partire, invece, dalla elaborazione, da parte della stessa Corte, della teoria del primato, tale ruolo sembra essere profondamente cambiato, e per molti versi attenuatosi. Se prima di Costa [6] (ma anche di Van Gend [7]) era infatti molto rischioso, per gli stessi giudici di Lussemburgo, qualsiasi riferimento all’esistenza di un vincolo, in capo alle istituzioni comunitarie, ad adottare atti che non si scontrassero con il dettato delle Costituzioni nazionali [8] ed era invece abbastanza indifferente, in assenza di un vincolo interordinamentale, fare chiaramente emergere nel reasoning delle pronunce il fattore costituzionale comune alla base di un determinato orientamento, una volta affermato il principio della supremazia del diritto comunitario nei confronti del diritto (anche costituzionale) degli Stati membri, le priorità argomentative dei giudici di Lussemburgo erano stravolte. Diventava, infatti, dal quel momento in poi, essenziale che gli stessi giudici si scoprissero improvvisamente interessati alla tutela dei diritti fondamentali e dimostrassero la matrice costituzionale domestica comune di questa tutela, anche quando questa matrice, di fatto, non c’era o, molto banalmente, non era condivisa dalle esperienze giuridiche degli Stati. Tale rovesciamento delle priorità argomentative nella giurisprudenza della Corte di giustizia ha avuto due [continua ..]


III. Le tradizioni costituzionali comuni nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo all’indomani della proclamazione della Carta.

Alla luce del breve quadro di sintesi appena tracciato, relativo, da una parte, a ciò che le tradizioni costituzionali comuni non sono mai state (fonti di produzione), ed invece, dall’altra, al ruolo che hanno effettivamente giocato in quella (lunga) stagione del processo di integrazione europea precedente all’avvio del processo di codificazione dei diritti fondamentali (vale a dire strumento a forte matrice retorica di illusione ottica e carburante per tolleranza costituzionale): come ha inciso sullo status quo il “momento della scrittura” [19]? Sembrano potersi distinguere due fasi a tale riguardo. La prima è quella che va dalla proclamazione della Carta a Nizza nel 2000 fino all’attribuzione ad essa di un carattere vincolante a seguito dell’entrata del Trattato di Lisbona [20], la seconda incomincia dal giorno successivo all’entrata in vigore della Carta ed è, ovviamente, tuttora in corso. Quanto al primo periodo che potrebbe essere definito di “limbo”, non possono non farsi due notazioni, apparentemente in contrasto. Da una parte, il passaggio dal plurale al singolare nella declinazione interpretativa delle tradizioni costituzionali comuni, vale a dire il passaggio dal­l’accertamento delle stesse tradizioni comuni al fine dell’applicazione del majoritarian activism approach [21]alla presa in considerazione, da parte della Corte di giustizia, della singola identità costituzionale dello Stato membro [22] che si ha, per le ragioni che si è avuto modo di fare emergere altrove [23], in con­comitanza con l’allargamento ad est dell’Unione europea, facevano sperare (vedremo tra un momento perché invano), ad una possibile europeizzazione dei controlimiti [24]. All’orizzonte si profilava dunque un nuovo corso della giurisprudenza comunitaria all’insegna della deferenza nei confronti del fattore costituzionale domestico, seppure, e sembrava questa la grande notizia, non condiviso e comune. Allo stesso tempo però, ed ambivalentemente, come si accennava, nel medesimo periodo di riferimento, le tradizioni costituzionali comuni e, ancor più, i principi generali del diritto comunitario, che di tali tradizioni costituiscono, come si è detto in precedenza, in qualche modo la sublimazione sovranazionale, hanno costituito il grimaldello interpretativo su cui [continua ..]


IV. (Segue). … e successivamente alla sua entrata in vigore: sopravvivenza (ed utilità) delle tradizioni costituzionali comuni, tra “assist” della Carta e mancata “finalizzazione” della Corte sul piano della teoria delle fonti …

(Segue). Rispetto a tale processo evolutivo a forte trazione trasformativa che sembra aver caratterizzato la natura delle tradizioni costituzionali comuni prima dell’entrata in vigore della Carta di Nizza, è possibile affermare che, a partire dal 1° dicembre 2009, le stesse (tradizioni) abbiano di fatto esaurito il loro compito? Una certa frettolosità a rispondere positivamente a tale interrogativo è stata, potrebbe sostenersi, una conseguenza di una eccessiva semplificazione della tensione, in sé assai complessa, tra diritto costituzionale scritto e non scritto. Se è innegabile, infatti, che quando si affronta la problematica dell’utilità delle tradizioni costituzionali comuni non si può in alcun modo eludere la contrapposizione tra, da una parte, una prospettiva di indagine di matrice giuspositivista (che troppo spesso finisce però per coincidere con un’apologia del formalismo giuridico) e, dall’altra, un approccio metodologico di carattere antiformalista e di ispirazione giusrealista [28], in cui il ruolo del diritto costituzionale non scritto è evidentemente amplificato e, in particolare, è valorizzato il ruolo della tradizione costituzionale [29], tale conflitto non può essere, però, radicalizzato oltre misura. In altre parole, non è detto che l’adozione di una Carta dei diritti che codifica un diritto costituzionale (prima) non scritto provochi sempre e comunque la dissolvenza di quest’ultimo nella sua versione non formalizzata e positivamente caratterizzata. Una tale convinzione, invece, ha supportato la narrazione di una cronaca di una morte (a dire il vero un po’ prematuramente) annunciata delle tradizioni costituzionali, dovuta alla codificazione del bill of rights europeo che avrebbe marginalizzato e fatto perdere di utilità e di rilevanza alle stesse. Per poi ulteriormente speculare come tale effetto di marginalizzazione sarebbe in fondo sintomatico, ad un livello più generale, della definitiva vittoria del formalismo giuridico nel nuovo millennio nei confronti del tentativo di valorizzazione di un diritto costituzionale non scritto in ambito sovranazionale [30], e quel tramonto sarebbe stato esclusivamente transitorio. Tale esercizio speculativo sembra però peccare, come si accennava, di una eccessiva semplificazione laddove individua un rapporto a somma [continua ..]


V. (Segue). … e nuovo vigore interpretativo sul piano della teoria della interpretazione, nonostante e, a volte, grazie alla Carta.

(Segue). Se sul piano della teoria delle fonti ci sono state, nel post-Lisbona, una serie di occasioni perdute per la valorizzazione della forza normativa delle tradizioni costituzionali comuni rispetto al potenziale che in questa direzione sembra emergere dal portato di alcune disposizioni della Carta, cosa dire dell’influenza culturale, sul piano interpretativo, giocata dalle tradizioni costituzionali comuni nello stesso arco temporale? Si tratta davvero, come si era stato anticipato, di una cronaca di una morte annunciata anche sul piano della teoria dell’interpretazione? La risposta sembra dover essere negativa. Innanzitutto un dato quantitativo. Come si legge in un bel saggio recente sul tema, «il riferimento alle tradizioni costituzionali comuni è diventato, nella giurisprudenza della Corte, un tema più ricorrente oggi rispetto al periodo pre-Carta, e anche se è difficile stabilire i margini di questo aumento con precisione, i dati relativi al suo utilizzo sono aumentati in modo esponenziale negli ultimi dieci anni» [46]. Come era stato preconizzato a questo riguardo [47], le tradizioni costituzionali hanno continuato a giocare un ruolo di cerniera interordinamentale in grado di far transitare senza sosta materiali normativi e giurisprudenziali dalla dimensione nazionale a quella sovranazionale, e viceversa. Come, in concreto, si è concretizzato tale ruolo di cerniera interordinamentale? In almeno due modi, si potrebbe rispondere. Il primo è rilevante con riferimento a quella dimensione retorica, quasi di illusione ottica, che si è visto, sin dalle “origini” essere propria dell’utilizzo argomentativo, da parte della Corte di giustizia, della nozione di tradizione costituzionale. Il secondo ha a che fare invece con un nuovo ruolo che, proprio grazie all’entrata in vigore della Carta, sembra possa ora caratterizzare la stagione post Lisbona della nozione stessa. Con riguardo al primo profilo evidenziato, sembra emblematica per fare emergere la matrice “consoloratoria” dell’utilizzo argomentativo delle tradizioni costituzionali la decisione della primavera del 2014 [48] in cui i giudici di Lussemburgo hanno, per la prima volta, annullato un intero atto di diritto derivato dell’Unione perché in contrasto con la Carta di Nizza. In particolare, ad essere travolta dalla decisione [continua ..]


VI. Tradizioni costituzionali comuni tra presenza ed assenza della componente dialogica.

Se questi sono alcuni degli scenari attuali che sembrano caratterizzare “uso ed abuso” della nozione di tradizione costituzionale comune così come vivente nella giurisprudenza europea e del suo impatto sulla narrativa di Lussemburgo in materia di tutela dei diritti fondamentali, qual è il rapporto tra tale nozione e quella, fin troppo abusata, di dialogo tra giudici [67]? Due sembrano a questo proposito le prospettive rilevanti: la prima è connessa allo strumento del rinvio pregiudiziale quale canale di dialogo privilegiato per il transito delle tradizioni costituzionali dalla dimensione domestica a quella sovranazionale; la seconda invece si riferisce all’argomento relativo alla tradizione costituzionale quale strumento retorico per evitare il dialogo. Con riferimento alla prima prospettiva menzionata, vale la pena di ricordare ancora un passaggio delle conclusioni di Maduro in cui l’ex Avvocato generale, dopo aver chiarito che le tradizioni costituzionali comuni non possono essere parametro di validità per gli atti comunitari, aggiungeva che «ciò non significa che i giudici nazionali non svolgano alcun ruolo nell’interpretazione dei principi generali e dei diritti fondamentali comunitari. È anzi inerente alla natura stessa dei valori costituzionali dell’Unione in quanto valori costituzionali comuni degli Stati membri che essi debbano essere precisati ed elaborati dalla Corte in un costante dialogo con i giudici nazionali, in particolare quelli incaricati dell’interpretazione autentica delle costituzioni nazionali. Lo strumento appropriato di tale dialogo è il rinvio pregiudiziale» [68]. Ed effettivamente sembra che il consiglio sia stato recepito dato che, tra il 2011 e 2014, il giudice delle leggi italiano (nel giudizio in via incidentale) [69] e quello francese, spagnolo e tedesco hanno deciso, per la prima volta, di servirsi di tale strumento [70]. Quest’ultimo, infatti, non è solo il modo migliore per sensibilizzare la giurisprudenza comunitaria circa il ruolo cruciale giocato dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, ma anche la carta migliore che le corti costituzionali possono giocare al fine di evitare che si aggravi il processo di loro marginalizzazione a favore di un ulteriore consolidamento del circuito biunivoco che lega la Corte di giustizia ai giudici comuni degli [continua ..]


VII. Spunti conclusivi (e prospettici).

In conclusione: sì, per rispondere alla domanda iniziale, ha ancora sicuramente senso oggi riflettere su attualità ed utilità delle tradizioni costituzionali comuni. Queste ultime, infatti, nonostante le più tetre previsioni, sono “sopravvissute” al momento della scrittura e sono “vive e vegete”. Non solo, ma godono, come si è cercato di dimostrare, di ottima salute. Lungi infatti dal subire un processo di marginalizzazione e progressivo accantonamento nella giurisprudenza della Corte di giustizia a seguito della proclamazione prima, ed entrata in vigore dopo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, le tradizioni costituzionali giocano, sotto il profilo della teoria dell’interpreta­zione [81], ancora un ruolo essenziale nel reasoning della Corte di giustizia nonostante e, in alcuni casi, come si è avuto modo di argomentare nei paragrafi precedenti, proprio grazie a ciò che avrebbe dovuto decretare la loro scomparsa, vale a dire la codificazione di un bill of rights europeo. E, più precisamente, grazie alla mancata sovrapposizione tra l’ambito di applicazione di alcuni diritti previsti dalla Carta e quello dei corrispondenti princìpi generali. Gli interstizi interpretativi che emergono da tale mancata sovrapposizione si rivelano un laboratorio privilegiato per le operazioni creative della Corte di giustizia volte ad allargare i confini applicativi del diritto dell’Unione. Ed in questo scenario le tradizioni costituzionali giocano un ruolo essenziale non solo di carburante domestico per la costruzione del principio generale ma, specialmente, di “cavallo di Troia” su cui si appunta l’attività interpretativa, melius, manipolativa, della Corte di giustizia per bypassare il limite previsto dall’art. 51 della Carta. Più che una morte (annunciata), la cronaca rilevante dovrebbe invece raccontare, allora, la storia di una trasfigurazione del ruolo e della natura del concetto di tradizione costituzionale. Il che non può sorprendere, se si pensa che uno dei caratteri essenziali di quest’ultima risiede nel suo incessante divenire e trasformarsi, una sorta di constitutional work in progress mai uguale a sé stesso [82]. D’altronde, guardare al ruolo ed alla natura delle tradizioni costituzionali facendo emergere la [continua ..]


NOTE