L’articolo analizza lo status delle regioni ultraperiferiche (RUP) nell’ordinamento dell’Unione europea, che, come noto, implica in linea di principio la piena applicazione del diritto dell’Unione a tali regioni, adattandola però alle caratteristiche geografiche e ai fattori peculiari delle stesse. Dopo aver delineato l’evoluzione del quadro normativo di riferimento, si prende in esame il contenuto e la portata dell’art. 349 TFUE, alla luce della sentenza resa dalla Corte di giustizia dell’Unione nel dicembre 2015. Inoltre, l’attenzione si incentra sul preminente ruolo del Consiglio nei processi decisionali concernenti le RUP per poi passare, nell’ultima parte del lavoro, ad illustrare la procedura di cui all’art. 355, par. 6, TFUE, che prevede una procedura semplificata attraverso cui è consentito alle RUP di effettuare un cambiamento di status nei confronti dell’Unione.
The article aims to analyze the Outermost Regions (ORs) legal status, notoriously marked by a constant balance between the ideal full application of the EU Treaties and the need to take into account the geographical characteristics and the peculiar factors of these regions. After an overview on the evolution of legal sources, the study focuses more closely on some issues concerning the content and the scope of Article 349 TFEU, as it has been interpreted by the ECJ in its 2015 judgment. Moreover, attention is paid to the leading role of the EU Council in the decision making process regarding the ORs. As final remarks, the paper examines the procedure contained in Article 355 (6) TFEU concerning a possibility of simplified status change.
KEYWORDS
Outermost Regions (ORs) – Art. 349 TFEU – Legal basis – Application of the Treaties – derogations – Change of status
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I. Premessa. - II. Le Regioni ultraperiferiche (RUP): definizione e caratteristiche. - III. L’evoluzione del quadro normativo di riferimento. - IV. Segue: il senso e la portata dell’art. 349 TFUE alla luce della sentenza della Corte di giustizia UE sul caso Mayotte. - V. L’art. 349 TFUE e i poteri del Consiglio dell’Unione. - VI. Segue: l’eventuale preminenza dell’art. 349 TFUE nei processi decisionali concernenti le RUP. - VII. La “clausola passerella” ex art. 355, par. 6, TFUE. - VIII. Osservazioni conclusive. - NOTE
Il presente lavoro è inteso a formulare alcune brevi considerazioni sulla collocazione delle regioni ultraperiferiche (RUP) nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea[1], nonché sulle dinamiche evolutive che, interessando alcune RUP – in special modo l’arcipelago di Mayotte –, hanno implicato il ricorso a particolari procedure. Va subito detto che il settore in esame si innesta nel più ampio fenomeno della regionalizzazione all’interno dell’Unione, ma, al contempo, se ne distacca; e ciò per via di caratteri talmente peculiari da giustificare l’attribuzione alle RUP di uno status, per certi versi, di eccezionalità. In sostanza, a queste regioni, incorporate in Stati membri e dunque pienamente ricomprese nel campo di applicazione territoriale del diritto dell’Unione, l’art. 349 TFUE riconosce un’applicazione “adattata” di tale diritto [2], sulla base di alcune specificità che differenziano le regioni in oggetto da tutte le altre appartenenti agli Stati membri. Come intuibile, si profila una sorta di frammentazione nell’attuazione delle politiche dell’Unione che, però, risponde ad esigenze funzionali nell’ottica di una sempre maggiore inclusione di tali regioni nell’ambito del mercato interno dell’Unione. Nella prospettiva appena indicata, è il concetto di integrazione differenziata [3] a costituire il perno intorno cui ruotano tutte le questioni giuridiche concernenti il settore relativo alle RUP e, per questo, vi è chi ha associato a tali realtà regionali il modello di Unione europea “a geometria variabile” [4]. Tuttavia, come emergerà nel corso dell’indagine, sembra più opportuno ritenere che quello delle RUP rappresenti un caso paradigmatico del modello di Unione a “più velocità”, giacché ad assumere un indiscutibile rilievo è la variabile temporale o, meglio, il ritmo diverso a cui dette regioni procedono nel conseguire gli obiettivi tesi a realizzare il processo di integrazione europea [5]. Un modello solitamente riferito a rapporti tra Stati membri e tante volte evocato in un’accezione negativa, ma che, nella fattispecie, assume un senso particolare, laddove elementi come “flessibilità e differenziazione” [6] assurgono a [continua ..]
Volendo definire il concetto di RUP, conviene muovere dal più esteso concetto di “oltremare” rinvenibile nell’ordinamento dell’Unione europea. Se, dal punto di vista giuridico, tale concetto sembra applicarsi, almeno sul piano letterale, ai soli PTOM di cui all’art. 355, par. 2, TFUE, tuttavia, in un’accezione piuttosto ampia, l’espressione “oltremare” si può riferire a tutti quei territori sottoposti alla sovranità degli Stati membri, ancorché non situati sul continente europeo, e dunque anche alle RUP[11]. Va peraltro rammentata la sostanziale differenza tra le RUP e i PTOM, che si concreta nella circostanza di costituire, le prime, una parte integrante di alcuni Stati membri dell’Unione; di essere, i secondi, paesi e territori non europei che mantengono particolari legami di carattere storico ed economico con taluni Stati membri [12], per i quali vige uno speciale regime di associazione, ove il diritto dell’Unione si applica solo nei limiti espressamente previsti [13]. Con stretto riferimento alle RUP, l’art. 349, co. 1, TFUE individua tali regioni in un elenco comprendente Guadalupa, Guyana francese, Martinica, Riunione, Saint Martin, Azzorre, Madera ed isole Canarie. Trattandosi di un elenco tassativo, può essere modificato solo attraverso determinate procedure, come si illustrerà nel prosieguo del presente lavoro. Dal medesimo elenco si evince che le RUP costituiscono parte integrante del territorio di tre soli Stati membri, ossia Francia, Portogallo e Spagna. Solo le RUP francesi, però, si situano in due sfere differenti dal punto di vista geografico e geopolitico; vale a dire quella relativa alla parte sud occidentale dell’oceano Atlantico del Nord/Mar dei Caraibi (Guadalupa, Guyana, Martinica, Saint Martin) e quella riguardante la parte occidentale dell’oceano Indiano (Riunione e poi, come si vedrà, Mayotte). I caratteri distintivi delle RUP sono ricavabili in maniera esemplificativa dallo stesso art. 349, co 1, TFUE. Segnatamente, rileva una situazione socioeconomica strutturale «aggravata» da alcuni fattori, ossia la grande distanza dal territorio metropolitano dello Stato membro di appartenenza, l’insularità, la ridotta superficie, la topografia e il clima difficili, nonché la dipendenza economica da alcuni prodotti. Come si può notare, solo [continua ..]
Occorre subito rammentare che l’espressione “regioni ultraperiferiche” viene ufficializzata nel diritto primario comunitario solo dopo circa quarant’anni dalla creazione della CEE. In origine, erano regolati unicamente i rapporti di quest’ultima con i dipartimenti francesi d’oltremare (DOM), oltre che con l’Algeria prima che raggiungesse l’indipendenza nel 1962 [16]. Ma, proprio tali territori appaiono come i precursori delle regioni di cui si discute. Infatti, a seguito dell’entrata nella membership comunitaria di Spagna e Portogallo – vale a dire Stati ove sono incorporate regioni lontane dal continente europeo e aventi caratteristiche simili ai DOM francesi –, la dichiarazione n. 26 allegata al Trattato di Maastricht, nel riferirsi espressamente alle “regioni ultraperiferiche” della Comunità, riprende il contenuto di un “considerando” (2°) della decisione del Consiglio del 22 dicembre 1989, istitutiva di un programma di soluzioni specifiche per ovviare alla lontananza e all’insularità dei dipartimenti francesi d’oltremare (POSEIDOM) [17]. In particolare, nella dichiarazione si ammette l’applicazione di pieno diritto alle RUP («dipartimenti francesi d’oltremare, Azzorre e Madera e Isole Canarie») delle disposizioni del TCE e del diritto derivato, pur facendo salva la possibilità di adottare misure specifiche in loro favore, riconoscendone il significativo ritardo strutturale, aggravato da alcuni fattori «la cui persistenza e il cui cumulo recano grave danno al loro sviluppo»; fattori che sono essenzialmente quelli richiamati poc’anzi e ancora contemplati nella disciplina vigente. In sostanza, caratteri e limiti propri dei DOM vengono riconosciuti alle RUP nel loro complesso. Peraltro, se il Trattato di Maastricht non introduce disposizioni ad hoc, è invece il Trattato di Amsterdam a prevedere un’autonoma base giuridica per l’adozione di misure applicabili alle RUP [18], ossia l’art. 299, par. 2, TCE [19]. Riprendendo il contenuto della suddetta dichiarazione, l’articolo ribadisce non solo che le disposizioni del trattato si applicano alle RUP, ma anche che il Consiglio può adottare misure specifiche «volte, in particolare, a stabilire le condizioni di applicazione del presente trattato a tali regioni, ivi comprese [continua ..]
Segue. A ben vedere, la cifra che sembra maggiormente segnare le disposizioni contenute nell’art. 349 TFUE è data dal ruolo preponderante del Consiglio nell’adozione di misure specifiche a sostegno delle RUP. E ciò emerge, invero, anche dai più recenti orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia dell’Unione in materia, sebbene, nel corso del tempo, tale ruolo non sia sempre stato costantemente valorizzato, come si può evincere dal percorso piuttosto ondivago tracciato dal giudice comunitario [30]. Percorso che – vale la pena ricordarlo – si inserisce in una sorta di «constitutional struggle» ingaggiata tra Stati membri e istituzioni, tesa a delineare i contorni del modello di integrazione da applicare alle RUP [31]. Le tappe essenziali di questo percorso si coagulano intorno a tre momenti. Il primo è ancorato alla fine degli anni settanta, quando la Corte riconosce un ampio potere del Consiglio nell’adattare il diritto comunitario alle esigenze delle RUP (sentenza Hansen [32]). Il secondo, agli inizi degli anni novanta, vede la Corte ridimensionare tale potere di adattamento, escludendo la possibilità da parte del Consiglio di derogare all’applicazione delle disposizioni espressamente indicate dall’art. 227, par. 2, TCEE (sentenze Legros [33] e Lancry [34]). Il terzo, alla fine degli anni novanta, porta la Corte a riaffermare la discrezionalità del Consiglio, seppure nel rispetto di condizioni rigorose (sentenze Chevassus-Marche [35] e Sodeprem [36]). Nel solco di questi ultimi orientamenti giurisprudenziali, pur tendendo verso un ulteriore rafforzamento dei poteri decisionali del Consiglio, si innesta la sentenza resa dalla Corte di giustizia (Grande Sezione) il 15 dicembre 2015 [37], la quale fornisce un importante contributo per definire meglio il senso e la portata di alcune delle previsioni normative contenute nell’art. 349 TFUE, specialmente con riguardo al loro ambito di applicazione. Un contributo – va detto – alquanto atteso se, come osserva l’avvocato generale Wahl nelle sue conclusioni alla causa de qua, la formulazione dell’art. 349 TFUE «non è propriamente un modello di chiarezza» [38]. La pronuncia trae origine dai ricorsi promossi dal Parlamento e dalla Commissione volti a chiedere [continua ..]
La pronuncia della Corte appena presa in esame consente di mettere a fuoco alcune questioni che investono, rispettivamente, due distinti piani. Il primo riguarda la rilevanza del ruolo del Consiglio nell’ambito dei processi decisionali relativi alle RUP; il secondo attiene all’eventuale preminenza dell’art. 349 TFUE su altre basi giuridiche, soprattutto alla luce della prassi più recente seguita dalle istituzioni dell’Unione. Quanto al ruolo del Consiglio, si sarebbe indotti a pensare che la pronuncia esaminata rifletta pienamente il quadro normativo di riferimento approntato a Lisbona. Per meglio dire, la Corte, chiamata per la prima volta a pronunciarsi sull’art. 349 TFUE, ha interpretato le disposizioni ivi inserite cogliendo ed enfatizzando la loro ratio, vale a dire il consolidamento del regime giuridico dell’ultraperifericità, incentrato sull’attribuzione di estesi poteri decisionali al Consiglio. Ora, restano da comprendere le ragioni che hanno portato i redattori del Trattato di Lisbona prima, e il giudice dell’Unione poi, ad attribuire al Consiglio un ruolo di siffatta rilevanza. Ebbene, la portata di tale ruolo – delineatasi, per la verità, fin dagli inizi [46] – sembra si possa agevolmente spiegare considerando l’intenso grado di “sensibilità politica” che caratterizza l’ambito in cui ci si muove. Del resto, anche la Commissione riconosce che il conseguimento degli obiettivi riguardanti le RUP richiede «volontà politica e definizione delle priorità» [47], mentre il Parlamento europeo sottolinea «il ruolo determinante» del Segretario generale del Consiglio nel garantire la corretta applicazione dell’art. 349 TFUE, dal momento che «gli adeguamenti delle politiche dell’Unione europea alle specificità delle RUP prevedono che le decisioni siano prese al più alto livello politico» [48]. Vale a dire che, nell’assumersi la responsabilità di sostenere regioni pienamente incorporate nei loro territori, compete innanzitutto agli Stati membri di appartenenza promuovere e realizzare interventi in favore delle regioni medesime. Ciò chiaramente non significa disconoscere la posizione centrale della stessa Commissione nel settore in esame, la quale resta titolare del potere di iniziativa [49]. Tra l’altro, nella [continua ..]
Segue.Passando alla seconda questione prospettata, si tratta di comprendere se l’art. 349 TFUE, come fondamento giuridico di un atto concernente una RUP, debba prevalere sistematicamente su altre basi giuridiche. Ad esempio, gli atti contestati dinanzi alla Corte nel caso Mayotte, sostanziandosi in provvedimenti modificativi di atti fondati su basi giuridiche settoriali, si sarebbero potuti ragionevolmente fondare sulle medesime basi, nell’ottica di un parallelismo delle procedure. E in effetti, i fattori elencati nell’art. 349 TFUE potrebbero essere presi in considerazione dal legislatore dell’Unione anche a voler prescindere da tale articolo [61]. Di più, basi giuridiche diverse dall’art. 349 TFUE tengono conto della peculiare situazione delle RUP, come l’art. 107, par. 3, lett. a) TFUE, ai sensi del quale possono considerarsi compatibili con il mercato interno gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico «delle regioni di cui all’articolo 349» [62]. Inoltre, due brevissime considerazioni attengono ai riflessi che si produrrebbero sull’equilibrio istituzionale dell’Unione qualora si registrasse una sistematica prevalenza dell’art. 349 TFUE sulle basi giuridiche settoriali. In primo luogo, è palese che un generalizzato ricorso all’articolo in parola comporterebbe – ancora più di quanto non avvenga già – uno spostamento deciso di tale equilibrio a favore della componente governativa nei processi decisionali riguardanti le RUP. La mera consultazione del Parlamento europeo, prevista dall’art. 349 TFUE, conferisce infatti uno scarsissimo peso specifico a questa istituzione nel settore in esame, andando, tra l’altro, in direzione opposta rispetto alla tendenza – da tempo fortemente consolidata – di una valorizzazione del Parlamento nell’iter di formazione degli atti, a garanzia, come ben noto, di una maggiore democraticità. In secondo luogo, il ricorso all’art. 349 TFUE, non prescrivendo la consultazione obbligatoria del Comitato europeo delle regioni, potrebbe marginalizzare il ruolo dell’organo chiamato in qualche modo a rappresentare le istanze delle RUP [63], nell’ipotesi affatto remota che interessi degli Stati membri di appartenenza e quelli delle RUP non siano del tutto coincidenti [64]. Eppure, va rilevato che, a seguito della prima [continua ..]
Lo spostamento dell’equilibrio istituzionale in direzione della componente governativa emerge in maniera vistosa anche nella previsione normativa contenuta nell’art. 355, par. 6, TFUE, concernente la possibilità di modificare lo status, nei confronti dell’Unione, di un paese o territorio sottoposto alla sovranità di Danimarca, Francia e Paesi Bassi [71]. È stabilito, infatti, che il Consiglio europeo, su iniziativa dello Stato membro interessato – deliberando all’unanimità previa consultazione della Commissione –, adotta una decisione al riguardo [72]. In sostanza, questa procedura semplificata permette il passaggio dei territori in questione dallo status di RUP a quello di PTOM, o viceversa, evitando di ricorrere alla procedura ordinaria di revisione dei Trattati. Due casi hanno interessato la Francia [73]. Dal 1° gennaio 2012, l’isola di Saint-Barthélemy ha cessato di essere una RUP per entrare nel gruppo dei PTOM; pertanto, si è passati da un regime di piena integrazione, con i dovuti adattamenti, allo speciale regime di associazione definito nella quarta parte del TFUE. A partire dal 1° gennaio 2014, invece, per l’arcipelago di Mayotte si è registrato il passaggio inverso, ossia da PTOM a RUP [74]. Il percorso che ha condotto Mayotte allo status di RUP si è articolato in varie fasi, ricevendo un primo impulso, seppure indiretto, dal referendum tenutosi nell’arcipelago nel marzo 2009 a seguito del quale, nel marzo 2011, esso ha acquisito lo status di dipartimento (il 101°), incorporandosi pienamente nella Repubblica francese. Alla base del referendum c’è stata la volontà degli abitanti di Mayotte non solo di avvicinarsi maggiormente al territorio metropolitano, ma anche di conseguire un grado più intenso di integrazione dell’arcipelago nell’Unione [75]. Tuttavia, la modifica di status nell’ambito dell’ordinamento giuridico francese non si è tradotta automaticamente nella c.d. RUPéisation di Mayotte [76]. In altri termini, il processo di departimentalizzazione ad opera del diritto interno francese non ha comportato di per sé il passaggio allo status di RUP, ancorché lo abbia in tutta evidenza agevolato, creando cioè le condizioni per poterlo realizzare [77]. Su richiesta della Francia, è stato [continua ..]
Dal complesso dei rilievi fin qui svolti emerge chiaramente il tentativo di contemperare due esigenze: da una parte, il dato oggettivo dell’appartenenza delle RUP all’Unione, che implica la piena applicabilità del diritto di quest’ultima a tali regioni; dall’altra, il riconoscimento di una sorta di integrazione “adattata” a realtà che sono potenziali destinatarie di misure intese a compensare i condizionamenti derivanti da determinate caratteristiche e da specifici limiti di natura geografica ed economica. In sostanza, permane la possibilità di adottare pertinenti misure a sostegno delle RUP, apportando, ove necessario, adattamenti e deroghe all’applicazione del diritto dell’Unione. Un’applicazione differenziata – ove il fattore tempo diventa essenziale, trattandosi di misure che, almeno in linea generale, dovrebbero essere “time-bound” –, il cui fine ultimo è consentire a queste regioni remote e isolate di potersi inserire, progressivamente ma in maniera effettiva, nel tessuto connettivo della stessa Unione [84]. Nondimeno, la fluidità e gli aggiustamenti che dagli inizi hanno segnato l’attuazione della disciplina approntata al riguardo, così come la giurisprudenza in materia, stanno ad indicare la difficoltà di individuare, di volta in volta, un punto di equilibrio tra il principio di integrazione e quello di adattamento. Difficoltà, in tutta evidenza, dovuta alla circostanza che tali principi formano quella che è stata definita «una strana coppia» [85], poiché appaiono contrapposti nel perseguimento degli obiettivi da raggiungere; ossia la realizzazione del mercato interno, per un verso, e il riconoscimento di esigenze specifiche proprie di certe realtà regionali, per altro verso. Come illustrato nel corso della presente indagine, nei tentativi di bilanciamento tra i due principi ci si è orientati verso un deciso consolidarsi del regime di adattamento del diritto dell’Unione ai limiti e ai caratteri delle RUP, tanto che per qualcuno si potrebbe delineare, nel lungo periodo, una sorta di avvicinamento tra lo status di RUP e quello di PTOM [86]. In particolare, le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona e gli ultimi sviluppi giurisprudenziali tendono all’affermazione di un ampio potere decisionale esercitato dal Consiglio [continua ..]