Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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'Stesso valore giuridico dei Trattati'? Rango, primato ed effetti diretti della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (di Lucia Serena Rossi, Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università diBologna)


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Article 6 TEU affirms that the EU Charter of Fundamental Rights shall have the same legal value as the treaties. This work aims to investigate the real legal value of the Charter in the EU legal order. To this aim, it will be taken into account the value of the Charter , for the EU institutions, for the Member States and for the individuals. The picture so resulting allows to consider the position of the Charter in the EU hierarchy of norms, as well as the issues of primacy and direct effect of the Charter.

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SOMMARIO:

I. Premessa. - II. Il valore della Carta rispetto alle istituzioni europee e il problema della sua posizione nella gerarchia delle fonti del diritto Unione. - III. Il valore della Carta per gli Stati membri. Il “campo di applicazione” della stessa. - IV. Il primato della Carta sul diritto degli Stati membri e i possibili “controlimiti”. - V. Il valore della Carta per gli individui: il problema degli effetti diretti. - NOTE


I. Premessa.

Com’è noto, il Trattato di Lisbona ha conferito valore vincolante alla Carta dei diritti fondamentali, facendola uscire dal limbo della soft law dove era rimasta dal 2000, anno in cui era stata semplicemente “proclamata” a Nizza. Anziché l’incorporazione nei Trattati stessi – come sarebbe avvenuto con il Trattato Costituzionale –, si è scelta la strada del rinvio alla Carta come fonte esterna al Trattato, ma comunque interna al sistema, perché l’art. 6. TUE precisa che la Carta «ha lo stesso valore giuridico dei trattati». Formalmente, dunque, la Carta ha rango di diritto primario, se non, come qualcuno ha suggerito di un rango “costituzionale”, addirittura superiore al trattato, nella misura in cui essa esprime dei principi fondamentali del­l’U­nio­ne [1] o di alcuni principi generali di diritto (come, ad esempio, il ne bis in i­dem) [2]. Nonostante la posizione apparentemente “esterna” al Trattato, il rango di diritto primario della Carta implica fra l’altro che essa possa essere modificata solo tramite la procedura di revisione ordinaria ex art 48 TUE. Tuttavia, e questo potrebbe testimoniare un rango “superprimario” della stessa, dato che la Carta è stata redatta da una Convenzione, non sembrerebbe possibile che, secondo quanto previsto dallo stesso articolo, le istituzioni europee si accordino per procedere ad una revisione senza convocare una Convenzione. Ci si può però chiedere se quello “stesso valore” sia davvero tale anche da un punto di vista sostanziale e se, in particolare, esso implichi anche che alla Carta, o almeno a talune disposizioni di essa, si possano applicare i principi strutturali degli effetti diretti e del primato, enunciati con riferimento ai Trattati nelle sentenze Van Gend & Loos [3] e Costa Enel [4]. Indagare sul valore della Carta richiede infatti un’indagine sull’applicabilità alla stessa di tali principi, perché essi costituiscono i parametri più efficaci per valutare l’incidenza delle norme dei Trattati sugli ordinamenti degli Stati membri. Poiché l’art. 6 TUE prevede che i diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del suo titolo VII, per [continua ..]


II. Il valore della Carta rispetto alle istituzioni europee e il problema della sua posizione nella gerarchia delle fonti del diritto Unione.

Con riferimento al valore della Carta per le istituzioni dell’Unione, va innanzitutto ricordato che l’art.6.1 TUE precisa che la funzione della Carta non è quella di estendere i poteri delle stesse. Il rispetto dei principi di sussidiarietà e di attribuzione è ribadito più volte, dalla Carta stessa (Preambolo, artt. 51.1 [7], 51.2 [8]), dal Protocollo n. 61 (sull’applicazione della Carta a Regno Unito e Polonia) e dalle Dichiarazioni 1, 53 (Repubblica Ceca), 61 (Polonia). Tali richiami indicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione che non devono utilizzare la Carta per “sconfinare” al di là delle competenze loro attribuite e del rispetto del principio di sussidiarietà [9]. La funzione della Carta è anzi quella, opposta, di limitare i poteri conferiti alle istituzioni, organi e organismi dell’UE, imponendo loro il rispetto dei diritti fondamentali. Proprio con queste limitazioni si affida alla Carta quel compito, tipico delle Costituzioni nazionali, di assoggettare il potere pubblico alla rule of law e al rispetto delle garanzie individuali [10]. Per verificare se la Carta abbia davvero pari valore gerarchico rispetto al Trattato in relazione agli atti delle istituzioni dell’Unione, occorre affrontare innanzitutto il problema del suo rango nella gerarchia delle fonti. Lo «stesso valore giuridico del Trattato» conferito alla Carta dovrebbe infatti implicare che quest’ultima a) non sia subordinata al Trattato stesso, b) debba essere rispettata – come norma gerarchicamente superiore – da tutta la legislazione derivata, dagli accordi conclusi dall’Unione con Stati terzi e organizzazioni internazionali e dagli atti di esecuzione adottati dalle istituzioni, c) costituisca un parametro in virtù del quale tali atti derivati possano, in conseguenza del mancato rispetto della Carta, essere dichiarati invalidi o venire annullati dalla Corte di Giustizia e d) sia capace di influenzare, in positivo o in negativo, la produzione legislativa delle istituzioni. a) Con riferimento al rapporto fra la Carta e i Trattati, si riscontano alcuni casi di sovrapposizione. In particolare, occorre esaminare le norme sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione previste dal Trattato (art. 21 TFUE) e dalla Carta (art. 45): quest’ultima, a differenza del primo, [continua ..]


III. Il valore della Carta per gli Stati membri. Il “campo di applicazione” della stessa.

Nel – così delimitato – campo di applicazione della Carta agli Stati membri, ci si deve ora chiedere se, e in che misura, la Carta goda, al pari delle norne dei Trattati e degli atti derivati, del primato sul diritto di tali Stati. Il primato, enunciato dalla Corte di giustizia a partire dalla sentenza Van Gend & Loos, è un rapporto di prevalenza del diritto dell’Unione su quello degli Stati membri e viene riconosciuto non solo ai Trattati istitutivi, ma anche agli atti delle istituzioni. Per gli Stati membri il primato per alcuni aspetti rimane ancora, a più di cinquant’anni dalla sua affermazione, una sorta di tabù, che si preferisce accettare nella pratica ma non riconoscere formalmente nei Trattati [50]. Nella visione della Corte di giustizia il primato è invece la pietra angolare dell’ordinamento dell’Unione, strettamente collegato al principio di autonomia dell’ordinamento dell’UE e al dovere di leale cooperazione degli Stati membri con l’Unione. Gli effetti del primato, si risolvono in una supremazia gerarchica che da un lato, grazie al meccanismo della preemptionimpedisce alla norma statale successiva di formarsi validamente, e dall’altro comporta il dovere di disapplicazione da parte delle autorità centrali e locali degli Stati, dei giudici e dell’am­ministrazione degli Stati membri delle preesistenti norme nazionali contrastanti. A partire dalla sentenza Simmenthal [51], la giurisprudenza della Corte si fonda sul binomio primato/disapplicazione, in una concezione monistica in cui il diritto UE è sovraordinato [52]. Nella sentenza A. contro B. [53] la Corte ha esteso questa concezione alla Carta dei diritti fondamentali, affermando il dovere da parte dei giudici nazionali di disapplicare norme contrarie alla Carta, senza dover attendere un giudizio di costituzionalità. I temi del primato del diritto dell’Unione e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzioni nazionali, come possibili limiti a tale primato, da sempre si intrecciano nel dialogo a distanza fra la Corte di Giustizia e le Corti costituzionali, o supreme, degli Stati membri. La Carta, strumento volto primariamente a sottomettere le istituzioni del­l’Unione al rispetto dei diritti fondamentali, anziché rassicurare tali Corti sembra averne innalzato il livello di vigilanza. E [continua ..]


IV. Il primato della Carta sul diritto degli Stati membri e i possibili “controlimiti”.

Strettamente collegato al principio del primato è quello degli effetti diretti, che la Corte di Giustizia ha enunciato, con riferimento ai trattati istitutivi sin dal 1963 [73], e ha poi esteso anche alle direttive [74]. Secondo tale principio, il Trattato, fonte ed espressione di un «ordinamento giuridico di nuovo genere», può creare effetti non solo per gli Stati, ma anche per gli individui, ogni qualvolta le sue disposizioni siano «chiare, precise ed incondizionate»; in tal caso essi possono chiederne l’applicazione davanti ai giudici ma anche davanti alle amministrazioni nazionali ed agli enti locali [75]. La Corte ha poi arricchito la teoria degli effetti diretti, prevedendo rimedi ulteriori ove la disapplicazione non sia sufficiente: in particolare l’interpretazione conforme da parte dei giudici nazionali ed il risarcimento del danno causato dall’ina­dem­pimento dello Stato in una precisa sequenza chiarita dalla sentenza Dominguez [76]. Se gli effetti diretti sono chiaramente invocabili in un rapporto fra individui e Stati, molto più problematica è invece l’efficacia orizzontale, esclusa esplicitamente dal Corte con riferimento alle direttive [77], ma anche non sempre chiara per quel che riguarda i Trattati [78]. Nel caso della Carta, come accade per il Trattato, è il contenuto stesso di ogni norma che può aiutare a capire se la stessa possa essere dotata o meno di effetti diretti e di che tipo [79]. A prima vista può sembrare che un gran numero dei diritti previsti dalla Carta possa avere effetti diretti, persino in una dimensione orizzontale. Ad esempio – sempre che la fattispecie si collochi nel campo di applicazione del diritto UE – potrebbero rivolgersi agli individui, anche nei rapporti con altri individui, il divieto di utilizzare parti del corpo umano a scopo di lucro (art. 3.2), la proibizione del lavoro forzato (art. 5) la protezione dei dati personali (art. 8), la libertà di opinione e la libertà di formare associazioni sindacali, il divieto di discriminazione (art. 21), la parità uomo/donna (art. 22), la protezione contro i licenziamenti ingiustificati (art. 30), le condizioni di lavoro (art. 31), il divieto del lavoro minorile (art. 32), la protezione in caso di maternità. Tuttavia risulta altrettanto evidente che alcune disposizioni della Carta, fra [continua ..]


V. Il valore della Carta per gli individui: il problema degli effetti diretti.

Si può concludere dall’analisi sin qui effettuata, che la Carta dei diritti fondamentali, pur avendo formalmente lo stesso rango del Trattato ed in astratto essendo sottoposta agli stessi principi strutturali (attribuzione, primato, effetti diretti) di quest’ultimo, in realtà risulta per alcuni versi una fonte primaria attenuata dall’interno. Essa stessa contiene infatti, una serie di disposizione che ne limitano gli effetti, con una cautela tutta particolare rispetto a possibili interferenze con l’ordinamento degli Stati membri. Questo d’altra parte appare in linea con la funzione – originariamente dichiarata ai tempi della Convenzione che l’ha creata – di strumento che non creava nuovi diritti, ma faceva “emergere l’esistente”. La Carta è stata concepita primariamente come strumento volto a limitare il potere delle istituzioni dell’Unione, fungendo da parametro per valutare la legittimità e la validità degli atti di queste ultime. In tal modo si voleva riempire un vuoto giuridico, derivante dal fatto che né le costituzioni degli Stati membri né, in mancanza di adesione, la CEDU potevano annullare o invalidare un atto dell’Unione europea. Non dichiarato, ma sicuramente presente, vi era anche l’intento di sottrarre alla piena discrezionalità della Corte di Giustizia l’interpretazione –e spesso anche la creazione– dei diritti fondamentali nell’ambito giuridico dell’Unione. Se prima del Trattato di Maastricht la CGUE era infatti l’unica domina dei diritti fondamentali, tale ampia discrezionalità non era poi mutata con l’in­troduzione in tale Trattato di un articolo sul rispetto di tali diritto da parte del­l’UE, che di fatto si limitava a codificare la precedente giurisprudenza. I diritti fondamentali costituivano una categoria giuridica che la Corte stessa aveva creato, e che applicava con maggior entusiasmo all’attuazione del diritto comune da parti degli Stati membri piuttosto che per colpire la validità o la legalità degli atti dell’Unione (questo almeno prima delle sopracitate sentenze Omega e Schmidberger, che già comunque risentivano dell’influenza della Carta dei diritti proclamata a Nizza). È per limitare tale discrezionalità che si decise di adottare non solo un [continua ..]


NOTE