Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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I rapporti tra ordinamento costituzionale ed europeo dopo la sentenza n. 20 del 2019: verso un doppio custode del patrimonio costituzionale europeo? (di Francesco Medico, Dottorando in Diritto Costituzionale, Università di Bologna)


L’articolo si propone di affrontare la questione del rapporto tra ordinamento nazionale ed ordinamento europeo alla luce della nuova giurisprudenza inaugurata con la sentenza n. 269 del 2017 e che trova un consolidamento nella sentenza n. 20 del 2019. In particolare, rispetto alla sentenza n. 269 del 2017, nella pronuncia n. 20 del 2019 pare essere venuto meno l’obbligo della questione prioritaria di costituzionalità, la formula “altri profili” ma rimane il richiamo alle “tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri”. Questa è la vera linea di continuità tra le due sentenze che dimostra il tentativo della Corte costituzionale di rompere il “monopolio interpretativo” che su questa categoria la Corte di giustizia ha da sempre esercitato e poter rientrare a pieno nel circuito interpretativo di protezione dei diritti fondamentali e in quello che sempre più sembra diventare un interstizio di patrimonio costituzionale condiviso. La proposta finale per superare l’impasse è la seguente: fare entrambe le Corti un passo indietro per ricomporre questi conflitti costituzionali nella logica di un doppio custode del patrimonio costituzionale europeo.

Relations between Constitutional and European Legal Order after judgment no. 20/2019: towards a double Custodian of the European Constitutional Heritage?

The paper deals with the relations between Italian and European legal order as affected by the new jurisprudence introduced by judgement no. 269 of 2017 and, then, enhanced by judgement no. 20 of 2019. In particular, in comparison to the decision no. 269, the latter seems to have failed the obligation of priority preliminary rulings on constitutionality, the formula “other profiles”, remaining the reference to the “constitutional traditions common to the Member States”. This is the true line of continuity between the two judgments which demonstrates the attempt of the Italian Constitutional Court to undermine the “interpretative monopoly” the Court of Justice has always exerted on this category in order to fully re-enter the interpretative circuit of protection of fundamental rights, becoming an interstice of shared constitutional heritage. Hence, an idea to overcome this impasse: both Courts should take a backward step to recompose these constitutional conflicts in the logic of a double Custodian of the European constitutional heritage.

Keywords

GranitalDoctrine – Direct Effect – Constitutional Traditions Common to the Member States – Charter of Fundamental Rights of the European Union – Fundamental Rights – Preliminary Ruling – Question of Constitutional Legitimacy – National Constitutional Order – European Legal Order.

SOMMARIO:

I. Introduzione. - II. L'antecedente della pronuncia n. 269/2017. - III. Dall'obbligo della questione prioritaria alla Corte costituzionale all'opportunità dell'incidente di costituzionalità. - IV. La scomparsa della formula «altri profili». - V. Il fil rouge tra le due pronunce: il riferimento alle «tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri». - VI. La logica del doppio custode del «patrimonio costituzionale europeo». - NOTE


I. Introduzione.

La tanto attesa sentenza n. 20 del 2019 della Corte costituzionale ha rappresentato la prima occasione utile in cui i giudici costituzionali hanno potuto dare “seguito” e meglio delimitare il campo di applicazione del­l’o­bi­terdictumcontenuto nella sentenza n. 269 del 2017 [1]. Una pronuncia importante questa, che ha portato ad un tentativo di allargamento del­l’in­ter­vento della Corte costituzionale in caso di antinomia tra norma nazionale e norma europea e ad un conseguente possibile superamento della “regola aurea” del­l’inammissibilità iniziata con la sentenza Granital. Un precedente que­st’ul­ti­mo che, dopo un dialogo serrato e difficile tra Corte costituzionale e Corte di giustizia a partire dagli anni ’60, aveva trovato e definito nel 1984 un equilibrio sistemico nei rapporti tra ordinamento nazionale ed europeo. Alcuni dubbi tuttavia su certi profili problematici e sugli eventuali sviluppi di questo aggiornamento di Granital – anche in seguito alla pronuncia n. 20 del 2019 (e all’ulteriore chiarimento della sentenza n. 63 del 2019) – rimangono e, forse, sono anche fisiologici, necessitando un assestamento del placet e della collaborazione di tutti i soggetti coinvolti e non del solo proponente. Ma un punto fermo preliminare sul perché di questa evoluzione c’è: la Corte costituzionale sta cercando di riacquistare una sua posizione nello scacchiere. In realtà poi, come sottolineato dalla dottrina più attenta [2] dei piccoli “non detti” e delle possibili situazioni di potenziale conflitto erano ben presenti nella dottrina Granital, pur basandosi su due osservazioni non troppo peregrine: la dottrina Granital si limitava alle sole norme europee (rectius comunitarie al tempo) direttamente applicabili e giungeva ad esiti sì congruenti con la corrispondente dottrina Simmenthal – ovvero l’obbligo della disapplicazione della norma nazionale in contrasto – ma partendo da un’imposta­zio­ne teorica decisamente non speculare (rispettivamente dualista la prima, mo­nista la seconda). Queste due piccole considerazioni lasciavano presagire che rimanevano e rimangono ancora oggi delle questioni aperte, che in alcuni momenti – come in quello storico presente – trovano concretizzazione. I rapporti tra i due ordinamenti (che si reggono [continua ..]


II. L'antecedente della pronuncia n. 269/2017.

Prima di passare però all’analisi della pronuncia n. 20 del 2019 vale la pena ricostruire l’impostazione del suo precedente giurisprudenziale: la sentenza n. 269 del 2017. A distanza, infatti, di più di trent’anni dalla sentenza Granital [8], che aveva “ordinato” – si pensava in maniera definitiva, ma non è stato così – i rapporti tra l’ordinamento italiano e quello europeo, stabilendo la regola della non applicazione della norma italiana in contrasto con la nor­ma europea self-executing, l’obiterdictuminserito nella sentenza n. 269/2017 ha creato delle frizioni. Uno scostamento rispetto alla dottrina Granital che ha subito polarizzato il dibattito nella dottrina costituzionale ed europea [9] tra sostenitori di questo nuovo corso della nostra giurisprudenza costituzionale e critici. Un primo punto da dover sottolineare è che la «precisazione» della sentenza n. 269 del 2017 è contenuta in un obiterdictum e quindi non funzionale alla formazione della ratio decidendi per la risoluzione del caso. Una precisazione, dunque, non dovuta ai fini della definizione dell’oggetto della questione ma che la Corte costituzionale sente di dover specificare dopo aver – quantomeno apparentemente – ribadito la collaudata impostazione postGranital di risoluzione delle antinomie tra norma nazionale ed europea: se la norma europea ha effetto diretto la competenza è del giudice comune, mentre in caso di norma europea priva di effetto diretto occorre sollevare una questione di costituzionalità a Palazzo della Consulta. Un secondo punto – la vera genesi del salto di qualità – invece, è che pur restando fermi «i principi del primato e dell’effetto diretto del diritto del­l’U­nione europea come sin qui consolidatisi nella giurisprudenza europea e costituzionale», l’in­troduzione della Carta di Nizza come parte del diritto del­l’Unione, ha provo­cato un cambiamento strutturale, «in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale» che comporta un ripensamento nei rapporti inter-ordinamentali. Da ciò discende l’alta probabilità di una doppia violazione sia dei diritti protetti dalla nostra Costituzione, sia dalla Carta di Nizza: qui si trova il cuore argomentativo della sentenza n. 269 del 2017, che [continua ..]


III. Dall'obbligo della questione prioritaria alla Corte costituzionale all'opportunità dell'incidente di costituzionalità.

Tra i molteplici profili della sentenza n. 20 del 2019, si è scelto di discutere tre nuclei tematici che meritano più di altri attenzione, e da leggere sempre in “chiaroscuro” rispetto alla sentenza n. 269 del 2017, di cui per l’appunto questo “seguito” non rappresenta che un assestamento. Un assestamento dovuto forse ad una ragione in particolare da tenere in considerazione: la precisazione nella sentenza n. 269 del 2017 restava in ogni caso un obiterdictum e questa è stata la prima occasione utile in cui la Corte costituzionale ha avuto la possibilità di meglio incardinare questo suo nuovo orientamento. Solo ora questo aggiornamento della dottrina Granital entra pertanto per la prima volta come motivazione funzionale ai fini del decisum in una pronuncia di accoglimento, a cui i giudici comuni dovranno adeguarsi. Il primo nucleo tematico su cui soffermarsi è sicuramente il passo indietro che sembra essersi fatto in merito all’obbligo per il giudice comune di sollevare “per prima” la questione di costituzionalità nei casi di “doppia pregiudiziale” [13]. Infatti nella sentenza n. 269 del 2017 la Corte aveva statuito che «laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, [deve] essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi del­l’art. 267 del TFUE». Questo passaggio ha fatto parlare i commentatori di una posizione neo-sovranista [14] assunta dalla nostra Corte costituzionale, che si era avocata uno «jus primi verbi» [15],in pieno contrasto con la sua pregressa giurisprudenza che riconosceva al rinvio pregiudiziale il carattere di prius logico nei casi dubbi sulla corretta interpretazione del diritto dell’Unione e con la giurisprudenza lussemburghese [16]. La giustificazione che era stata data dai giudici costituzionali sulla necessità di essere interpellati nei casi di “doppia pregiudiziale” è stata individuata nella necessità di «prendere atto che la citata Carta dei diritti [continua ..]


IV. La scomparsa della formula «altri profili».

Il secondo nucleo concettuale da evidenziare riguarda la scomparsa della formula “per altri profili” rispetto alla sentenza n. 269 del 2017 in cui i giudici costituzionali avevano sostenuto che nei casi di “doppia pregiudiziale”, «nulla impedisce che al termine del giudizio incidentale di costituzionalità, la disposizione legislativa in questione che abbia superato il vaglio di costituzionalità» venga disapplicata o venga richiesto dai giudici comuni un rinvio pregiudiziale sulla validità o sull’interpretazione della stessa alla Corte di giustizia «ove, per altri profili, la ritengano contraria al diritto del­l’U­nione». Questo sì, in realtà, poteva rappresentare un reale contrasto con la speculare dottrina Melki perché, nonostante la formula rimanesse molto ambigua, poteva far presagire due conseguenze problematiche: una sorta di assorbimento delle questioni europee in quelle costituzionali e – sempre tra­mite questa tecnica dell’assorbimento di un parametro nell’altro – un’appa­rente appropriazione dell’interpretazione degli articoli della CDFUE, essendo limitato il rinvio pregiudiziale e la disapplicazione [30] solo «per altri profili» rispetto a quelli analizzati dalla Corte costituzionale. Certo, il carattere erga omnes di un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità, avrebbe garantito ugualmente la primauté del diritto europeo su quello nazionale quoadeffectum, ma avrebbe rappresentato un superamento della dottrina Granital nel segno della «rivoluzione» e non «dell’evoluzione» [31] nei rapporti tra ordinamenti perché avrebbe sostanzialmente estromesso la Corte di Lussemburgo dall’interpretazione del diritto prodotto dal suo ordinamento di cui è garante, depauperando l’autonomia del diritto dell’Unione europea. Il rinvio pregiudiziale, in questo modo, sarebbe stato svuotato – quantomeno in relazione all’interpretazione della CDFUE – del suo effet utile perché il giudice comune sarebbe stato obbligato a poter interpellare i giudici lussem­bur­ghesi solo in relazione a profili diversi da quelli già vagliati dalla Corte costituzionale. Anche se parte della dottrina aveva tentato di dare un’in­ter­pre­tazione correttiva di questo passaggio [continua ..]


V. Il fil rouge tra le due pronunce: il riferimento alle «tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri».

Il vero punto, però, su cui la Corte costituzionale decide di non fare passi indietro – e che rappresenta la vera linea di continuità tra queste due pronunce – riguarda il passaggio sulle «tradizioni costituzionali comuni de­gli Stati membri». I giudici costituzionali ribadiscono dunque, con un’e­spressione sostanzialmente congruente alla sentenza n. 269 del 2017, che «questa Corte deve pertanto esprimere la propria valutazione, alla luce innanzitutto dei parametri costituzionali interni, su disposizioni che, come quelle ora in esame, pur soggette alla disciplina del diritto europeo, incidono su principi e diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione italiana e riconosciuti dalla stessa giurisprudenza costituzionale. Ciò anche allo scopo di contribuire, per la propria parte, a rendere effettiva la possibilità […] che i corrispondenti diritti fondamentali garantiti dal diritto europeo, e in particolare dalla CDFUE, siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate anche dall’art. 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come fonti rilevanti». È da questa prospettiva che si comprende la vera posta in gioco dell’evoluzione della dottrina Granital. Sotto questo profilo infatti, i giudici costituzionali rendono palese un malessere, cui rimediano accreditandosi come interpreti qualificati di questo interstizio di patrimonio costituzionale condiviso. Questa narrazione rappresenta un’assoluta novità nella giurisprudenza costituzionale, in cui finora il riferimento alle “tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri” era utilizzato di rado e solo come mero richiamo a quello che la Corte di giustizia riconosceva come tale [36] “Le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri” – è fin troppo noto – sono state lo strumento attraverso cui i giudici di Lussemburgo hanno coniato la categoria dei “principi generali del diritto comunitario” e garantito la protezione dei diritti fondamentali nell’or­dina­mento europeo [37].Una categoria, che attraverso una sapiente e strategica opera di “internalizzazione” ha rappresentato il mezzo per rispondere alle critiche che alcune Corti costituzionali europee incominciavano a presentare nelle fasi iniziali del processo di integrazione europea [38]. La Corte di [continua ..]


VI. La logica del doppio custode del «patrimonio costituzionale europeo».

Il novum della sentenza n. 20 del 2019 sta quindi nella richiesta della Corte costituzionale di voler essere interpellata – prima o dopo a questo punto non sembra dirimente – nelle questioni interstiziali, come interprete qualificato del patrimonio costituzionale comune europeo. La domanda a cui i giudici costituzionali hanno voluto dare risposta pare, in definitiva, essere la seguente: «in che modo possono le corti costituzionali nazionali contribuire alla conoscenza e alla diffusione della propria “tradizione costituzionale” e della propria identità costituzionale nazionale» [41]? In tale ottica si spiega anche il richiamo che i giudici costituzionali fanno all’art. 52 della CDUE che prescrive la necessità che «laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni». La cui “armonia” non può che rinvenirsi nell’interpretazione che di quel diritto viene data e riconosciuta anche dalle Corti costituzionali. Alcune clausole dei Trattati come l’art. 6 del TUE e l’art. 52 della CDFUE possono fungere, dunque, secondo questa evoluzione della dottrina Granital come “cinghia di trasmissione” di un’evoluzione dei rapporti tra i due ordinamenti che potrà trovare in quelle norme la possibilità di un’osmosi di patrimonio costituzionale. Questo sicuramente necessiterà, forse, della collaborazione e del contributo della Corte di giustizia nella revisione di alcune sue posizioni per inglobare queste nuove istanze delle Corti costituzionali; cosa che sembra aver già fatto – in maniera lungimirante – in alcuni casi come l’affaire Melki(sulla sua originaria concezione del rinvio pregiudiziale) [42] o la stessa vicenda Taricco(in relazione al rispetto di un principio facente parte dell’identità costituzionaledi uno Stato membro) [43], superando una concezione assoluta del primato [44]. Alcune recenti pronunce della Corte di giustizia in materia di apertura sugli effetti orizzontali di alcuni articoli della Carta di Nizza, al contrario, non lasciano presagire un facile punto di incontro potendo diventare – almeno potenzialmente – uno strumento per realizzare un completamento di «una sorta di inammissibile [continua ..]


NOTE